«Ha dovuto aspettare molto, per avere un tassi?»

«Pochi minuti.»

«Dia a me, padre!»

Karl. Stava scendendo la scala di corsa. Si affrettò verso il religioso, gli tolse con delicatezza la valigia dalla mano, avviandosi poi verso lo studio.

«Le abbiamo preparato un letto nello studio, padre» disse Chris, agitata, nervosa. «Starà comodo, vedrà... E poi ho pensato che lei avrebbe preferito un certo riserbo... Venga, le faccio vedere dov'è.» Mosse un passo, ma d'improvviso ristette. «Oppure preferisce salutare prima padre Karras?» domandò.

«Anzitutto vorrei vedere sua figlia» rispose Merrin.

Chris trasecolò. «Adesso, subito subito, padre?...»

Ancora una volta egli alzò lo sguardo verso il piano superiore, come in attenta attesa di qualcosa. «Sì, ora... Penso che sia meglio.»

«Però... guardi che adesso è addormentata.»

«Credo di no.»

«Be', se...»

Improvvisamente Chris si rattrappì, come colpita da una mazzata, da un suono che proveniva da sopra: la voce del demone, rimbombante eppure ovattata, gracchiante, simile a un prematuro canto funebre amplificato.

«Meerriiiiinnnnnn!»

Seguì, isolato, massiccio, raccapricciante, il cavernoso rimbombo di un unico colpo battuto con incredibile violenza contro la parete della camera di Regan.

«Dio santissimo!» sussurrò Chris, portandosi la mano diafana al petto. Impietrita, guardò Merrin. Il religioso non si era mosso. Guardava ancora verso l'alto, teso e nello stesso tempo sereno, senza un'ombra di sorpresa negli occhi. Chris pensò che nello sguardo di lui c'era una luce di riconoscimento.

Un altro colpo fece vibrare la parete.

«Merriiiiinnnnn!»

Lentamente il vecchio gesuita si avviò, dimentico di Chris, rimasta senza fiato dallo sbigottimento. Dimentico di Karl, che uscì precipitosamente dallo studio con l'incredulità dipinta sul volto. Dimentico di Karras, che spuntò dalla cucina esterrefatto. Mentre l'incubo dei colpi sulla parete e il gracchiare del mostro continuavano senza sosta, padre Merrin salì la scala con calma, facendo scivolare sul corrimano la mano scarna, che sembrava scolpita nell'alabastro.

Damien Karras si portò vicino a Chris e insieme guardarono dal basso Merrin entrare nella camera di Regan e chiudersi la porta alle spalle. Per un certo tempo regnò il silenzio. Lo spezzò d'improvviso il demone con la sua risata terrificante. Padre Merrin uscì dalla stanza, richiuse la porta e avanzò in corridoio. Dietro a lui, la porta si riaprì nuovamente. Sharon sporse la testa, seguì con lo sguardo sbalordito il vecchio religioso che si allontanava.

Vedendo Karras che lo aspettava ai piedi della scala, padre Merrin scese in fretta, tendendo la mano.

«Padre Karras...»

«Buona sera, padre.»

Merrin teneva stretta la mano di Damien tra le sue. La scuoteva ripetutamente, mentre con espressione grave e preoccupata scrutava il volto del più giovane confratello.

«Lei ha l'aria di essere terribilmente stanco» disse, mentre di sopra il riso demoniaco cedeva il posto a un torrente di ingiurie ributtanti, rivolte contro di lui. «Vero che è stanco?»

«Ma no, affatto. Perché me lo chiede?»

«Ha con sé l'impermeabile?»

«No» disse Karras scuotendo la testa.

«Allora prenda il mio. Ecco qui.» E il gesuita dai capelli grigi si sbottonò il soprabito. «Vorrei che lei facesse un saltò fino alla residenza, Damien. Dovrebbe andare a prendere una veste talare per me, due cotte, una stola viola e dell'acqua santa. E non dimentichi la sua copia del Rituale Romano.» Porse l'impermeabile a Karras che lo guardava sbigottito. «Credo che dovremo cominciare subito.»

Damien Karras corrugò la fronte. «Come, subito?... Vuol dire immediatamente?...»

«Sì, penso di sì.»

«Ma non vuole prima sentire i precedenti del caso, padre?»

«Perché?»

Sul volto serio del vecchio gesuita, le sopracciglia congiunte in un'unica linea esprimevano una domanda sincera.

Karras si rese conto di non avere una risposta. Distolse lo sguardo da quegli occhi sconcertanti. «Giusto!» disse, mentre si infilava l'impermeabile. Si voltò, avviandosi per uscire.

«Vado a prendere quello che lei mi ha detto.»

Karl attraversò la stanza in un baleno, precedendo il gesuita per aprirgli la porta. I due scambiarono una rapida occhiata, poi padre Karras uscì nella notte piovosa.

«Lei non ha niente in contrario a che noi cominciamo subito?» domandò sottovoce padre Merrin, girandosi di nuovo verso Chris.

L'attrice lo aveva osservato, mano mano illuminandosi di sollievo: aveva la sensazione che una forza di decisione, di direzione, di comando fosse entrata nella casa, penetrante come un grido nell'aria immota di un giorno di sole. «No, anzi, sono ben contenta» gli rispose, grata. «Però lei deve essere stanco, padre.»

Il vecchio gesuita notò l'occhiata ansiosa verso il piano superiore, dove il demone continuava la sua farneticazione.

«Non gradirebbe una tazza di caffè? È fresco, appena fatto.»

C'era insistenza nel tono di Chris, quasi una vaga supplica. «È ancora caldo. Proprio non ne vuole nemmeno un po', padre?»

Egli notò anche le mani che si aprivano e chiudevano in continuazione e le profonde occhiaie.

«Ma sì, volentieri» rispose con calore. «Grazie.» Qualcosa di pesantemente oppressivo era stato delicatamente spinto di lato, con l'ordine di attendere. «Sempre che non sia di troppo disturbo...»

Chris lo condusse in cucina e poco dopo egli era appoggiato di spalle al fornello, con una chicchera di caffè in mano.

«Ci vuole un goccino di brandy, padre Merrin?» domandò Chris, tenendo alzata la bottiglia.

Egli chinò la testa e guardò il contenuto della tazza senza mutare di espressione. «Per la verità, i dottori dicono che non dovrei...» rispose, allungando però subito la mano che reggeva la chicchera. «Ma, grazie al cielo, la mia forza di volontà è molto ridotta...»

Chris restò per un attimo incerta, esitante, poi vide il sorriso negli occhi di lui, quando egli rialzò la testa.

Versò il brandy.

«Com'è bello, il suo nome» disse il gesuita. «Chris MacNeil... È un nome d'arte?»

L'attrice versò alcune gocce di liquore nella propria tazza e scosse il capo. «No. È il mio. Le giuro che non mi chiamo Esmeralda Glutz o qualcosa del genere!»

«E per questo sia lode a Dio» mormorò padre Merrin.

Chris sorrise e sedette. «E lei?... Come mai "Lankester", padre Merrin? Così fuori dal comune... È il nome di qualcuno?»

«Di qualcosa. Una nave da carico.» Una risposta sottovoce, lo sguardo vago, mentre portava la tazza alle labbra. Bevve un sorso. «O un ponte. Sì, credo che fosse un ponte.» Aveva l'aria mortificata. «Damien, invece... Come mi sarebbe piaciuto chiamarmi Damien! È così un bel nome!»

«Da dove viene questo nome, padre?»

«Damien?» Tornò a guardare la chicchera che aveva in mano. «Così si chiamava un prete che dedicò la sua vita a curare i lebbrosi, nell'isola di Molokai. Finì col prendersi la malattia anche lui.» Tacque per un istante. «Un bel nome» ripeté. «Credo che con un bel nome come Damien non m'importerebbe niente nemmeno di un cognome come Glutz.»

Chris rise sommessamente. Si aprì. Si sentì più a suo agio. Per alcuni minuti lei e il vecchio gesuita parlarono di cose di tutti i giorni, piccole cose senza importanza, finché non entrò Sharon. Allora, e soltanto allora, padre Merrin si mosse, preparandosi a lasciare la cucina. Fu come se avesse aspettato un segnale, perché non appena Sharon comparve sulla porta egli immediatamente si avvicinò all'acquaio, risciacquò la sua tazza, collocandola poi con cura sulla rastrelliera del colapiatti. «Buono, il caffè. Era proprio quello che mi ci voleva» disse.

Chris si alzò in piedi. «L'accompagno nella sua stanza, padre.» Lo precedette per fargli strada fino alla porta dello studio. Egli la seguì, mormorando un ringraziamento. «Qualsiasi cosa le occorra, padre, me lo faccia sapere.»

Il gesuita le pose una mano sulla spalla e le diede una strizzatina rassicurante. Chris si sentì pervasa da un senso di calore, da una forza benefica. Pace. Un senso di pace. E anche un senso stranissimo... Ma di che? Sicurezza? Forse, si disse.

«Lei è molto gentile.» Gli occhi del prete sorridevano. «Grazie.»

Le tolse la mano dalla spalla, poi la seguì con lo sguardo mentre lei si allontanava. D'un tratto, il vecchio sacerdote parve trafitto da uno spasimo e il suo volto si contorse in una smorfia di dolore. Entrò nello studio, chiudendosi immediatamente la porta alle spalle. Da una tasca dei pantaloni tirò fuori uno scatolino con l'etichetta Aspirina Bayer. L'aprì. Estrasse una pillola di trinitrina. Se la mise in bocca, allogandola con cura sotto la lingua.

Nel frattempo Chris era tornata in cucina. Ferma sulla soglia, guardava Sharon che era in piedi davanti al fornello, in attesa che il caffè si scaldasse.

Preoccupata, l'attrice le si avvicinò. «Senti, cara» le disse «perché non vai a riposare un poco?»

Non ottenne risposta. Sharon sembrava immersa, sprofondata nei suoi pensieri. Dopo un momento si scosse, si voltò verso Chris, guardandola con espressione vuota. «Oh, scusa! Hai détto qualcosa?»

L'attrice studiò quel volto tirato, quello sguardo assente. «Cosa è successo, là di sopra, Sharon?» domandò.

«Successo quando?»

«Prima, quando padre Merrin è venuto su.»

«Ah, sì...» Sharon si accigliò, spostò il suo sguardo assorto su un punto imprecisato nello spazio tra il dubbio e il ricordo. «Sì... Che buffo!»

«Buffo?!»

«Strano. Quei due...» Una breve pausa. «Quei due sono rimasti a guardarsi negli occhi per un po', e poi Regan... quella "cosa" lassù... ha detto...»

«Cosa ha detto?»

«Ha detto: "Questa volta sarai sconfitto!"».

Fissando Sharon con occhi sbarrati, Chris aspettava. «E poi?»

«E poi niente» rispose la ragazza. «Padre Merrin ha voltato le spalle ed è uscito dalla stanza.»

«Ma che faccia aveva?»

«Buffa.»

«Cristo santo, Sharon! Non sei capace di trovare un'altra parola?» sbottò Chris. Stava per aggiungere altro quando si accorse che Sharon aveva reclinata la testa di lato e guardava verso il soffitto, con espressione concentrata, come se stesse tendendo l'orecchio.

Guardò verso l'alto anche lei. Notò un grande silenzio, l'improvvisa interruzione delle furiose imprecazioni del demone, qualche cos'altro ancora... che aumentava, dilagava... Che cosa?

Le due donne scambiarono occhiate perplesse.

«Senti anche tu?» domandò Sharon, sottovoce.

Chris annuì. La casa. C'era qualcosa nella casa. Una tensione. Come se l'atmosfera si facesse di minuto in minuto più densa, come un pulsare di energie che aumentavano lentamente di potenziale.

Il tintinnio del carillon suonò irreale.

«Vado io» disse Sharon, avviandosi.

Traversò l'ingresso e aprì la porta: era padre Karras, con una grande scatola, una di quelle usate dalle lavanderie.

«Grazie, Sharon.»

«Padre Merrin è nello studio.»

Il gesuita si diresse subito verso lo studio. Bussò — due o tre colpetti leggeri — ed entrò senza attendere risposta, sempre con la sua scatola sotto il braccio.

«Scusi, padre» disse «ma ho dovuto...»

S'interruppe bruscamente. Padre Merrin, in pantaloni e camiciola sportiva, era inginocchiato per terra vicino al letto improvvisato, la fronte china sulle mani strettamente giunte. Per un momento Damien Karras rimase inchiodato sul posto, quasi come se nello svoltare un angolo si fosse improvvisamente imbattuto nella sua propria infanzia, passantegli accanto senza uno sguardo di riconoscimento, con una cotta da chierichetto buttata sul braccio.

Distolse lo sguardo, portandolo sulla scatola senza coperchio. Le macchioline di pioggia sui paramenti inamidati... Lentamente, a occhi bassi, si accostò al sofà. Senza far rumore, tirò fuori il contenuto della scatola. Quando ebbe finito si tolse l'impermeabile e lo sistemò con cura sulla spalliera di una seggiola. Tornò a guardare Merrin e vide che egli stava facendosi il segno della croce. Ancora una volta distolse gli occhi in fretta. Allungò una mano, prese la più larga delle due cotte bianche di cotone e cominciò a infilarsela sopra la sottana. Udì Merrin alzarsi in piedi e dirgli: «Grazie, Damien». Si girò verso di lui, mentre finiva di tirar giù la cotta. S'avvide che il vecchio, avvicinatosi al divano, stava sfiorando con uno sguardo di tenerezza le cose che lui gli aveva portate. Prese un maglione e lo porse all'esorcista. ' «Ho pensato che sarà meglio si metta questo, sotto la veste, padre. A volte, in quella camera di sopra, fa un gran freddo...»

«È stato un pensiero gentile, Damien» disse il vecchio, sfiorando l'indumento con mano carezzevole prima di indossarlo.

Karras prese dal divano la veste talare che aveva portata per l'esorcista e attese che questi ultimasse d'infilarsi il maglione. Soltanto in quell'istante, e all'improvviso, mentre osservava il gesto tanto banale e tanto consueto, egli ricevette appieno l'impatto della personalità di quell'uomo, di quel momento, del silenzio nella casa, un silenzio che lo sopraffece, togliendogli il respiro.

Tornò alla piena coscienza di sé quando sentì togliersi la veste dalle mani. Padre Merrin. Indossandola: «Lei conosce le norme riguardanti l'esorcismo, Damien?».

«Sì, le conosco.»

Il vecchio gesuita cominciò ad abbottonarsi la veste.

«Particolarmente importante, Damien, è l'ammonimento di evitare le conversazioni col demone...»

«Il demone.» Lo ha detto come se fosse la cosa più normale di questa terra, pensò Karras. Avvertì un senso di irritazione.

«Noi possiamo fare delle domande pertinenti» continuò il vecchio, allacciandosi la veste al collo. «Però, qualsiasi altra cosa che dovesse andare oltre rappresenterebbe un pericolo. Un enorme pericolo.» Prese dalle mani di Karras la cotta e se la infilò sopra la veste. «Soprattutto non ascolti ciò che il demone dirà. Il demone è bugiardo. Mentirà per confonderci le idee, e appunto per questo alle menzogne mescolerà delle verità, per meglio attaccarci. L'attacco è psicologico, Damien. E poderoso. Non ascolti. Ricordi bene questo: non ascolti!»

Quando il confratello gli porse la stola, l'esorcista soggiunse: «C'è qualcosa d'altro che vorrebbe sapere, Damien?»

Karras scosse la testa. «No. Penso piuttosto che sarà bene che io la metta al corrente dei precedenti riguardanti le differenti personalità apparse durante il corso delle manifestazioni. Fino ad oggi, pare che ce ne siano tre.»

«Non ce n'è che una» disse Merrin sommessamente, cingendosi le spalle con la stola. Per un momento, la tenne stretta tra le mani, rimanendo immobile, mentre i suoi occhi assumevano un'espressione tormentata. Raccolse le due copie del Rituale Romano e ne diede una a Karras. «Ometteremo le litanie dei Santi. Ha portato l'acqua benedetta?»

Karras infilò una mano in tasca e tirò fuori una piccola fiala chiusa all'imboccatura da un turacciolo. Il vecchio la prese. Il volto sereno, con un cenno della testa indicò la porta. «Prego, mi preceda, Damien.»

Al piano di sopra, Chris e Sharon aspettavano, tese e ansiose, presso la porta della camera di Regan. Erano infagottate in maglie e giacconi. Udendo aprirsi la porta dello studio si spostarono per guardare in basso: videro i due sacerdoti attraversare l'ingresso e salire la scala in solenne processione. Alti tutti e due. Come sono alti! pensò Chris in quel momento. Karras... Un volto che sembrava scolpito nella roccia e, sotto, il bianco innocente della sua cotta da chierichetto. Osservandoli salire con quel passo fermo, ebbe la sensazione come se i due si fossero fusi in uno e si sentì profondamente e stranamente commossa. Eccolo qui, adesso arriva mio fratello... quello "grande"!... Ti spaccherà la faccia, brutta carogna!... Era questa pressappoco la sensazione che ella provava. Ed il suo cuore, se ne accorse, cominciò a battere più in fretta.

I due sacerdoti si fermarono davanti alla porta della stanza di Regan. Notando che Chris indossava un maglione e una giacca pesante, Karras si accigliò: «Come, vuole entrare?».

«Io penso che dovrei, no?»

«Per favore, non lo faccia» la esortò lui. «No, non entri. Commetterebbe un grosso errore.»

Chris rivolse al vecchio gesuita un'occhiata interrogativa.

«Padre Karras sa cosa è meglio fare» disse l'esorcista pianamente.

Ella tornò a guardare Karras. Poi chinò la testa. «Va bene» disse, avvilita. Si appoggiò con le spalle alla parete. «Aspetterò qui fuori.»

«Qual è il secondo nome di sua figlia?» le domandò padre Merrin.

«Teresa.»

«Oh, che nome grazioso» esclamò l'esorcista, con calore. Il suo sguardo agganciò quello di lei, lo trattenne, infondendole coraggio. Poi egli guardò la porta, e di nuovo Chris avvertì un certo qualcosa di invisibile e pur presente: la tensione, l'ispessirsi di una caligine avvolgente. Dentro, nella camera da letto. Oltre quella porta. E notò che anche Karras percepiva il mutamento di atmosfera. E anche Sharon.

Padre Merrin fece un cenno con la testa. «Andiamo» disse sottovoce.

Karras aprì la porta e barcollò, quasi, al sentirsi investito da una zaffata di aria glaciale e puzzolente. In un angolo della stanza, rannicchiato in una poltrona, c'era Karl, imbacuccato in una vecchia e scolorita giacca da caccia color verde oliva. Si voltò verso Karras con aria ansiosa. Il gesuita puntò subito lo sguardo sul demone sdraiato sul letto, ma gli occhi fiammeggianti non guardarono lui. Guardarono alle spalle di lui, fissi sull'esorcista ancora fermo in corridoio.

Karras si portò ai piedi del letto; padre Merrin invece, alto ed eretto, camminò lentamente, andando a collocarsi di lato, vicino al capezzale. Si fermò e affondò lo sguardo nell'odio. Un silenzio opprimente planava nella stanza. Regan si leccò le labbra gonfie e screpolate con la lingua coperta da una patina nera, simile a quella di un animale selvaggio. Il rumore era quello di una mano che spiana un foglio di cartapecora spiegazzato. «E allora, vagabondo presuntuoso» gracchiò il demone «finalmente! Finalmente sei venuto!»

Il vecchio sacerdote alzò la destra e tracciò nell'aria il segno della croce al di sopra del letto. Benedisse poi, uno ad uno, Karras, Sharon e Karl. Quando ebbe finito, si voltò nuovamente verso il letto. Tolse il tappo alla fiala di acqua santa.

«Oh, ma che bravo! La santa urina, adesso!» esclamò con voce stridente il demone. «Il seme dei santi!»

L'esorcista alzò la fiala e la faccia del demone si contorse, si fece livida. «E che, fai sul serio, bastardo?» gridò la "cosa", agitandosi. «Davvero?»

Padre Merrin cominciò ad aspergere.

Il demone rialzò di scatto la testa, scosso da un furore che gli faceva tremare i muscoli del collo e gli storceva la bocca. «Ma sì, dai, spruzza!... Spruzza, Merrin! Inzuppaci! Annegaci nel tuo sudore! Il tuo sudore è consacrato, san Merrin! Curvati e scorreggia, butta fuori nubi di incenso! Curvati, metti in mostra il santo deretano, affinché noi si possa venerarlo e adorarlo! Baciarlo, il tuo santo...»

«Taci!»

L'imperativo guizzò nell'aria come una saetta. Karras si rattrappì su se stesso. Sbalordito, si voltò a guardare il vecchio confratello che fissava imperiosamente Regan. Il demone tacque. Fissava l'esorcista, ma ora i suoi occhi erano titubanti. Diffidenti. Le palpebre palpitavano.

Con un gesto meccanico, padre Merrin rimise il tappo alla fiala. La restituì a Karras, che se la infilò in tasca senza distogliere lo sguardo dal vecchio. L'esorcista si inginocchiò accanto al letto, chiuse gli occhi, cominciò a recitare sommessamente una preghiera. «"Padre nostro..."»

Regan sputò e un grumo di muco giallastro colse padre Merrin in piena faccia. Colò lentamente sulla guancia scarna.

«"... Venga il tuo regno..."» Sempre a capo chino, l'esorcista continuò a recitare la preghiera, senza interrompersi mentre la sua mano cercava in fondo a una tasca il fazzoletto. Sereno, imperturbabile, senza fretta, si strofinò la guancia per rimuovere lo sputo. "... e non c'indurre in tentazione..."» proseguì con voce pacata.

«"Ma liberaci dal male"» completò Karras. E alzò un istante lo sguardo sul demone.

Gli occhi di Regan stavano in quel momento rovesciandosi nelle orbite. Completamente, finché non fu più visibile che il bianco della sclera. Lo psichiatra sentì aumentare la sua inquietudine. Percepì che nella stanza qualcosa stava addensandosi. Tornò al suo libro per seguire la preghiera che l'esorcista stava recitando in quel momento:

«"O Dio, Padre di Nostro Signore Gesù Cristo, invocando il tuo santo nome, io supplico umilmente la tua bontà perché tu ti degni di concedermi il tuo aiuto contro lo spirito immondo che sta tormentando questa tua creatura. Per il Nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio..."»

«Amen» rispose Karras.

Padre Merrin si rialzò in piedi. Con profonda devozione implorò:

«"O Dio, Creatore e Difensore dell'umano creato, volgi il tuo sguardo misericordioso su questa tua serva, Regan Teresa MacNeil, ora avvolta nelle spire dell'antico nemico dell'uomo, avversatore implacabile della nostra stirpe, il quale..."»

All'udire Regan sibilare, Karras alzò gli occhi. Vide che era seduta eretta, le palpebre aperte sui globi degli occhi, di cui però si vedeva soltanto il bianco. La lingua guizzava velocemente dentro e fuori dalla bocca, mentre la testa ondeggiava lentamente avanti e indietro come quella di un cobra.

Di nuovo lo psichiatra si sentì pervaso da un senso di angustia. Tornò ad abbassare lo sguardo sul suo libro.

«"Salva la tua serva"» pregò l'esorcista, in piedi, leggendo dal Rituale.

«"Che confida in te, mio Dio"» rispose Karras.

«"Fa che trovi in te, o Signore, il baluardo inespugnabile..."»

«"Di fronte al nemico."»

Mentre l'esorcista recitava sottovoce il seguito dell'orazione, padre Karras udì Sharon — che gli stava alle spalle — aspirare rumorosamente e trattenere il fiato. Girò la testa verso di lei: la ragazza fissava il letto con espressione allibita. Perplesso, si voltò a guardare a sua volta e ciò che vide lo galvanizzò all'istante come una scarica elettrica. La testata del letto si sollevava dal pavimento!

Non credeva ai suoi occhi. Dieci centimetri. Venti. Trenta. Tentò, senza riuscirvi, di distogliere lo sguardo. In alto saliva anche la parte opposta del letto, ormai completamente sospeso nell'aria: le due spalliere a livello, sullo stesso piano.

Non udì Karl bisbigliare, terrorizzato «Gott in Himmel», non lo vide farsi il segno della croce. Non è vero, non può essere vero! pensò, allucinato, paralizzato.

E il letto ancora più in alto... Di una trentina di centimetri, finché non rimase così, librato nell'aria, ondeggiando, oscillando avanti e indietro pian piano, quasi stesse fluttuando sulle acque placide di un lago.

«Padre Karras...»

Anche Regan ondeggiava. E sibilava.

«Padre Karras...?»

Si voltò. Calmo, sereno in volto, l'esorcista lo fissò negli occhi.

«Per favore, Damien, la risposta...» disse padre Merrin, indicando con un cenno della testa il Rituale che lui, Karras, reggeva sulle mani aperte a mo' di leggìo.

Ma Damien Karras sembrò non sentire, non capire. Sharon uscì correndo dalla stanza.

«"Fa che il nemico non abbia potere su di lei..."» ripeté l'esorcista, pazientemente.

Col cuore che gli martellava nel petto, Karras si affrettò a cercare con gli occhi la risposta sul Rituale. La voce gli uscì in un soffio: «"...E che il figlio dell'iniquità non possa farle del male."»

«"Signore, ascolta la mia preghiera"» proseguì Merrin.

«"E il mio grido giunga a te"»

«"Il Signore sia con te."»

«"E con il tuo spirito."»

Il vecchio sacerdote iniziò una preghiera più lunga delle altre. Karras ne approfittò per riportare il suo sguardo sul letto, verso la speranza di trovare — miracolosamente librata nel vuoto — la Rivelazione Soprannaturale, il suo Dio... L'esultanza serpeggiava in tutto il suo essere. È lì! Eccola, la Rivelazione! Lì, davanti ai miei occhi! Voltò la testa di scatto, all'udire aprirsi la porta: Sharon. E, con Sharon, anche Chris. Entrata precipitosamente, si arrestò di botto, l'incredulità dipinta sul volto. «Gesù Cristo!...» esclamò, col fiato mozzo.

«"O Dio onnipotente ed eterno..."»

L'esorcista alzò la mano in un gesto semplice, quotidiano. Senza affrettarsi, tracciò tre volte il segno della croce sulla fronte di Regan, continuando nel frattempo a leggere il testo della preghiera: «"... Tu, che hai mandato il tuo unico Figlio sulla terra per schiacciare il ruggente leone..."».

Il sibilo cessò. Dalle labbra di Regan, sporgenti, animalescamente protese in fuori fino a dare alla bocca la forma di una O, uscì un cupo muggito, sconvolgente, raccapricciante.

«"... libera dalla rovina e dagli artigli del demone del mezzogiorno questo essere umano fatto a tua immagine e..."»

Il muggito crebbe di tono, parve squarciare le carni per penetrare fino alle ossa.

«"O Dio, Signore di tutto il creato..."»

Senza interrompere la preghiera, con un movimento pacato e sicuro quasi fosse cosa di tutti i giorni, il vecchio sacerdote applicò un lembo della stola sul collo di Regan, premendolo con mano ferma. «"... la cui potenza fece sì che Satana precipitasse dal cielo come folgore, incuti il terrore nella fiera che sale dall'abisso per portare lo sterminio nella tua vigna..."»

Il muggito cessò. Un silenzio tintinnante. Poi un vomito verdognolo, denso e putrido, prese a sgorgare a intervalli regolari dalla bocca della bambina, colando lentamente come lava dalle labbra per fluire a ondate sulla mano del vecchio gesuita. Ma egli non ritirò la mano. «"Fa che la tua mano potente scacci questo demone crudele dal corpo di Regan Teresa MacNeil, la quale..."»

In maniera vaga, indistinta, padre Karras sentì aprire la porta, udì Chris precipitarsi fuori dalla camera.

«"Fai uscire fuori questo persecutore dell'innocente..."»

Il letto dapprima cominciò a dondolare pigramente, poi a beccheggiare, ed ecco che ad un tratto prese ad alzarsi e abbassarsi velocemente, come trascinato su e giù da onde impetuose. La colata di vomito proseguì senza soluzione di continuità; l'esorcista, sempre imperturbabile, si adattò al movimento del letto in modo da poter continuare a premere fermamente la stola contro la gola di Regan.

«"Dona ai tuoi servi il coraggio di opporsi risolutamente al dragone ribelle affinché egli non prevalga su coloro che confidano in te, o Signore, e..."»

Bruscamente i sussulti cessarono. Karras, come ipnotizzato, osservò il letto abbassarsi lentamente, leggero come una piuma, fino a toccar terra, posandosi sulla moquette con un piccolo tonfo ovattato.

«"Concedi, o Signore, che questa..."»

Strappandosi a fatica dal torpore attonito, padre Karras guardò la mano dell'esorcista. Non si vedeva: era sepolta sotto un cumulo di vomito fumante.

«Damien...?»

Lo psichiatra alzò lo sguardo. Pacatamente, il vecchio sacerdote ripeté:

«"Signore, ascolta la mia preghiera..."»

Gli occhi nuovamente fissi sul letto, Karras pronunciò la risposta: «"E il mio grido giunga a te."»

L'esorcista tolse la stola dal collo di Regan, fece un piccolo passo indietro. D'un tratto, lo scoppio improvviso della sua voce fece sobbalzare tutti: un comando, sferzante come una frusta. «"Io ti scaccio, spirito immondo, e insieme a te scaccio ogni satanico potere del nemico! Ogni spettro che sale dall'inferno! La crudele legione!"»

La mano di padre Merrin, quella che egli teneva penzoloni, gocciava di vomito sul tappeto. «"È Cristo che te lo ordina, Colui che un giorno fermò il vento, e il mare, e la tempesta! Colui che..."»

Regan smise di vomitare. Seduta, immobile, silenziosa. Il bianco dei suoi occhi sembrava lampeggiare minacciosamente verso il vecchio sacerdote. Dai piedi del letto, Karras la osservava con attenzione spasmodica. Sentiva che in lui, poco alla volta, shock ed eccitazione stavano diminuendo di intensità. Il suo cervello, per contro, prese a tirare le somme, a frugare, febbrilmente, suo malgrado, senza l'intervento della volontà, negli angoli più oscuri del dubbio che la logica gli prospettava. Ricordò: fenomeni paranormali; psicocinesi; tensioni caratteristiche dell'adolescenza; energia inconsciamente diretta dalla mente. Ricordò anche qualcos'altro e si accigliò. Portatosi a fianco del letto, si chinò, allungò la mano per tastare il polso di Regan. Ebbe la conferma di ciò che temeva. Come quello dello sciamano siberiano, anche il polso di Regan batteva con incredibile rapidità. Bastò questo per farlo ripiombare improvvisamente nelle tenebre. Gli occhi fissi sull'orologio, si mise a contare i battiti e gli parve che ognuno di essi togliesse qualche cosa alla sua vita. «"È Lui che te lo ordina, Colui che ti precipitò a capofitto dalle alture del cielo!"»

Il solenne scongiuro dell'esorcista martellò ai margini la consapevolezza di Karras, con colpi risonanti e inesorabili. I battiti del polso di Regan si fecero più rapidi, sempre più rapidi. Guardò la bambina: assolutamente immobile, taceva ancora. Nell'aria gelida, sottili volute di vapore si alzavano dal vomito, simile a fumante offerta votiva. Si avvide di essere sempre più inquieto. D'un tratto, sentì che gli si rizzavano i peli sulle braccia: con allucinante lentezza, a piccoli scatti intermittenti, la testa di Regan girava, ruotava sul collo come quella di un manichino, producendo un cigolio analogo a quello di un meccanismo arrugginito, finché quegli occhi spaventosi e spettrali, di cui si vedeva soltanto il bianco, non si fissarono in quelli di lui.

«"E perciò ora trema di terrore, Satana..."»

Lentamente, la testa tornò a voltarsi verso l'esorcista.

«"... tu, contaminatore della giustizia! tu, generatore di morte! tu, ingannatore delle nazioni! tu, predone di vita! tu..."»

Damien Karras lanciò all'intorno uno sguardo circospetto. Notò che le luci sfarfallavano, poi si offuscavano, diminuendo di intensità fino a immergere la stanza in una penombra ambrata, misteriosamente palpitante. Rabbrividì. Faceva più freddo. Sempre più freddo.

«"... tu, principe degli assassini! tu, inventore di ogni lascivia! tu, nemico della razza umana! tu..."»

Un colpo sordo rimbombò nella camera. Un altro. Poi, facendo vibrare pareti, pavimento, soffitto, un ritmico martellare insistente, travolgente, simile al battito impazzito di un enorme cuore malato.

«"Vattene, mostro! Torna alla tua solitudine! La tua dimora è in un nido di vipere! A terra! Striscia con loro! È Dio stesso che te lo ordina! Il sangue di..."»

Il martellare dei colpi rimbombò più alto, minaccioso, più affrettato, sempre più affrettato...

«"Col mio scongiuro io ti scaccio, antico serpente..."»

Ancora più rapidi, i colpi.

«"... in nome del Giudice dei vivi e dei morti, in nome del tuo Creatore, del Creatore di tutto l'universo..."»

La sarabanda di colpi divenne intollerabile. Con un'improvvisa accelerazione, il martellare balzò ad un ritmo incredibile, terrificante. Sharon, premendosi i pugni contro le orecchie, gridò, urlò.

Il ritmo del polso di Regan aumentava in modo sorprendente. Non era più possibile contarne i battiti. Senza perdere per un solo istante la sua serenità, padre Merrin alzò il braccio e col polpastrello del pollice tracciò il segno della croce sul petto di Regan, lordo di vomito. Le parole della sua preghiera vennero inghiottite dall'orgia assordante di rumori.

L'esorcista tracciò un altro segno di croce, questa volta sulla fronte di Regan. Cessò d'improvviso lo spaventoso martellare, che aveva generata nella stanza un'atmosfera di incubo. Padre Karras sentì che, d'un tratto, il ritmo del polso della bambina era bruscamente caduto.

«"O Dio del cielo e della terra, Dio degli angeli e degli arcangeli..."»

Le parole della preghiera ora si udivano chiaramente, ma il polso rallentava i suoi battiti, rallentava sempre più...

«Merrin, bastardo presuntuoso! Feccia delle fecce! Sarai sconfitto! La porcella morirà! Morirà!»

Gradatamente, le luci tremule nella mezz'ombra tornarono a brillare normalmente. Riapparve l'entità demoniaca. Con odio frenetico, si scatenò contro il vecchio gesuita: «Sei tronfio come un pavone, vecchio eretico dissoluto... Voltati e guardami! Io ti sfido! Guardami, carogna!». Il demone scattò in avanti, sputò sul volto dell'esorcista, gracchiò: «È in questo modo che il tuo Maestro cura la cecità!».

«"O Dio, Signore di tutto il creato..."» proseguì il vecchio sacerdote, tirando fuori dalla tasca il fazzoletto per detergere con calma lo sputo.

«Avanti, segui i suoi insegnamenti, Merrin!... Forza! Infila il tuo membro consacrato nella bocca della porcella e purificagliela... Purificagliela, questa bocca, strofinagliela bene con la tua santa reliquia raggrinzita, e lei guarirà, san Merrin! Un miracolo! Un...»

«"... libera questa tua serva..."»

«Ipocrita! Non te ne importa niente, della porcella! Niente, te ne importa!... Tu ne hai fatto semplicemente un pretesto per la nostra contesa!»

«"... io umilmente..."»

«Bugiardo! Bastardo mentitore! Dove sta la tua umiltà, Merrin? Avanti, diccelo! Nel deserto? Tra le rovine? Nelle tombe dove sei andato a rifugiarti per fuggire dai tuoi simili? Per evadere dalla compagnia di chi è più in basso di te, di chi non ha una mente che possa competere con la tua? Ti degni mai di parlare agli uomini, tu schifoso baciapile?...»

«"... libera..."»

«La tua dimora è in un nido di pavoni, Merrin! Tu stai bene soltanto quando sei solo con te stesso! Torna sulla cima della montagna e parla con l'Unico che consideri tuo eguale!...»

Indifferente alla voce rabbiosa, al torrente di ingiurie, il vecchio gesuita continuava a recitare le sue preghiere. «Sei affamato, san Merrin? Tieni, ti offro nettare e ambrosia, ti regalo il cibo del tuo Dio!» gracchiò il demone. Beffardo, espulse una violenta scarica diarroica. «Poiché questo è il mio corpo! E adesso consacralo, san Merrin!»

Sconvolto dalla ripugnanza, Damien Karras si concentrò sul brano del Vangelo secondo San Luca che padre Merrin stava leggendo:

«"...Quegli disse: 'Legione'. Infatti i demoni che erano entrati ih quell'uomo erano molti e pregavano Gesù che non comandasse loro di andarsene nell'abisso. Ora v'era da quelle parti un gran branco di porci che pascolava sul monte e i demoni pregarono Gesù che concedesse loro di entrare in essi. Glielo permise. Allora i demoni, usciti da quell'uomo entrarono nei porci e il branco si precipitò giù per il pendio fin dentro il lago e affogò. Quando..."»

«Ehi, Willie, ho buone notizie per te!» gracchiò il demone. Karras alzò gli occhi: Willie, entrata nella camera con una bracciata di lenzuola e asciugamani, era rimasta inchiodata a un passo dalla soglia. «Ti porto buone nuove, un annuncio di redenzione!» Lo sguardo del demone era saturo di gioia malvagia. «Elvira è vivai Non è vero che è morta! Vive ed è...» Impietrita, la donna fissava il demone con occhi sbarrati. Girandosi di scatto, Karl le gridò: «No, Willie! No!».

«... ed è una tossicomane, cara Willie, schiava della droga senza speranza...»

«Non ascoltare, Willie!» urlò Karl.

«Vuoi che ti dica dove abita?» gracchiò il demone.

«Non ascoltare! Non ascoltare!» E Karl spinse sua moglie a forza fuori dalla camera.

Il demone le urlò dietro: «Vai a trovarla, il giorno della Mamma, Willie! Falle una bella sorpresa! Vai e...».

S'interruppe bruscamente. Spostò il suo sguardo su Karras, che nel frattempo aveva controllato nuovamente il polso. Lo aveva trovato forte, vigoroso, il che stava a dire che si poteva somministrare a Regan un'altra dose di Librium. Si avvicinò a Sharon per dirle di preparare subito un'altra iniezione. «La vuoi quella lì?...» lo schernì il demone. «È tua! Sì, se la vuoi, la sozzona è tua. Puoi montarla quando ti pare! Figurati, Karras, che di notte, quella sporcacciona non fa che vaneggiare per te! Si masturba, pensando al tuo grosso, pretesco...»

Sharon si fece di fuoco. Guardò ostinatamente di lato, mentre Karras le dava le istruzioni per la dose di Librium.

«E una supposta di Compazine, se dovesse vomitare ancora...» precisò il gesuita.

Gli occhi fissi sul pavimento, Sharon annuì, poi, rigida, si voltò per uscire. Quando passò vicino al letto, sempre a testa china, Regan le gracchiò: «Sgualdrina!». Poi schizzando in avanti la prese in piena faccia con un getto di vomito. Sharon si immobilizzò, come paralizzata, mentre il vomito le colava lentamente lungo la guancia.

In quel preciso istante riapparve la personalità "Dennings". Con voce aspra, Dennings gridò: «Puttanaccia! Baldracca!».

Sharon si precipitò fuori dalla camera.

Con una smorfia di disgusto, la personalità "Dennings" si guardò intorno e domandò: «Per piacere, qualcuno vuol decidersi ad aprire una finestra? Qui dentro c'è una stramaledetta puzza! È uno schifo!». Subito però si corresse: «No, no, no, per amor del cielo non aprite, altrimenti può darsi che qualcun altro, tra poco, faccia uno stramaledetto salto nel vuoto!». Ridacchiò mostruosamente, fece l'occhietto a Karras e scomparve.

«"È lui che ti espelle..."»

«Ma davvero, Merrin? Lui mi espelle?»

Il demone era tornato. L'esorcista continuò gli scongiuri, le applicazioni della stola, i ripetuti segni di croce, e tuttavia il demone ricominciò ad infierire con gli insulti più abbietti. È troppo! pensò Karras, allarmato. Il parossismo stava prolungandosi troppo, per non essere pericoloso.

«Oh, ecco che arriva la troia! La madre della porcella!» esclamò il demone sarcasticamente.

Karras si voltò e vide che Chris, testa bassa, si stava avvicinando a lui con in mano la siringa, pronta per l'iniezione, e un tampone di ovatta imbevuto di alcool. Le andò incontro, il volto accigliato, mentre il demone non cessava di scagliare le sue invettive.

«Sharon sta cambiandosi» spiegò Chris «e Karl...»

«Va bene, va bene!» tagliò corto Karras, accostandosi con lei al letto.

«Ah, brava, vieni a vedere cosa hai combinato di bello, troia-madre!... Vieni!»

Con uno sforzo disperato, Chris cercò di non ascoltare, di non guardare, mentre Karras tendeva la pelle floscia del braccio di Regan.

«Guardala bene, questa schifezza che sta qui! Guarda questa cagna assassina!» imperversò il demone. «Sei soddisfatta? È tutta opera tua!Sì, sei stata tu! Tu, che hai messo al di sopra di ogni altra cosa la tua carriera!... La tua carriera prima di tuo marito, prima di tua figlia, prima...»

Chris era come paralizzata. Karras alzò la testa. «Avanti» le disse con tono di comando «faccia l'iniezione, su! Non ascolti! Avanti!»

«... il tuo divorzio! Sì, vai a chiedere aiuto ai preti! I preti non ti serviranno a niente!»

La mano di Chris fu scossa da un tremito convulso, irrefrenabile. «È pazza!Pazza furiosa! La porcella è pazza!Sei stata tu a portarla alla follia, all'assassinio, al...»

«Non posso!...» Coi lineamenti sconvolti, Chris fissava la siringa che le tremava tra le mani. Scosse la testa. «Non ci riesco...»

Karras gliela tolse dalle dita. «Non fa niente. Strofini col tampone! Strofini il braccio. Più su!» le disse con autorità.

«... alla tomba!...Tu, cagna, con...»

«Non ascolti!» ripeté Karras con forza.

Allora il demone guardò lui, con occhi che erano globi infocati.

«In quanto a te, Karras...»

Chris strofinò il braccio di Regan col tampone disinfettante. «Ora vada fuori!» le intimò Karras, infilando l'ago nella carne flaccida.

Chris fuggì.

«Ma sì, Karras, noi lo sappiamo bene quanto sei buono con le mamme, tu!...» gracchiò il demone. Il gesuita si rattrappì e per un attimo rimase assolutamente immobile. Poi estrasse lentamente l'ago e guardò quegli occhi che si erano rovesciati del tutto nelle orbite. Dalla bocca di Regan uscì un lento cantico armonicamente modulato, simile a una salmodia. La voce era quella, chiara e argentina, di un giovane cantore di cappella. «"Tantum ergo sacramentum veneremur cerniti..."»

Un inno cantato nelle chiese cattoliche durante la benedizione. Padre Karras ascoltò con la sensazione di non avere più una goccia di sangue nelle vene. Irreale e agghiacciante, quel canto lo isolò, lo immerse in un vuoto pneumatico nel quale, con spaventosa chiarezza, egli percepì l'orrore di una fine che stava precipitando. Si scosse. Guardò Merrin: con un asciugamano, il vecchio gesuita stava pulendo dal vomito il volto e il collo di Regan. Nei suoi gesti stanchi c'era una infinita tenerezza.

«"... et antiquum documentum..."»

Il canto seguitava. Ma la voce, di chi era quella nuova voce? si chiese Karras, perplesso. Nella mente, un turbinio di pensieri frammentari. Dennings... La finestra...

Mentre si torturava il cervello per risolvere quel nuovo interrogativo, Sharon rientrò nella stanza. «Ci penso io, padre» disse. «Sto bene, ora. È passato. Vorrei anche cambiare le lenzuola e la biancheria di Regan, prima di metterle la supposta di Compazine. Posso? Vi rincrescerebbe aspettare un momento fuori, tutti e due?»

Usciti nel tepore e nella penombra del corridoio, i due sacerdoti si appoggiarono stancamente alla parete.

Karras tese l'orecchio al cantico spettrale, che giungeva smorzato dalla camera di Regan. Dopo alcuni minuti, sottovoce: «Padre Merrin... Prima, giù dabbasso, lei mi ha detto che c'è soltanto... una unica entità...»

«Infatti. È così.»

Voci sommesse, teste chine, come in confessionale.

«Tutte le altre personalità non sono che i vari aspetti che essa assume per sferrare battaglia» proseguì l'esorcista. «Ma la entità è una sola... Sola ed unica: è un demone!»

Dopo un breve silenzio, con la massima semplicità, l'esorcista soggiunse: «So che lei ha i suoi dubbi, in proposito. Ma, vede, questo demone... Con questo demone io mi sono già scontrato un'altra volta, prima d'ora. È potente... molto potente...».

Altro silenzio. Fu Karras a riprendere il discorso.

«Noi cattolici sosteniamo che il demone... non può intaccare la volontà della vittima.»

«Sì, è così... È così. Non c'è peccato.»

«Ma allora quale scopo si proporrebbe la possessione?» chiese Karras, accigliato. «A che cosa mira?»

«E chi lo sa? Chi può sperare di saperlo mai?» Il vecchio gesuita rifletté per alcuni istanti, poi, prospettando un'ipotesi personale, proseguì: «Comunque, io ritengo che il bersaglio del demone non sia la persona ossessa... Damien, il bersaglio siamo noi... Noi, gli osservatori... Nel caso attuale, ogni persona che si trova in questa casa. E credo... credo che lo scopo sia quello di condurci alla disperazione..., di farci respingere la nostra condizione di persone umane, di farci apparire di fronte a noi stessi come esseri fondamentalmente bestiali, niente altro che bruti. Esseri fondamentalmente abbietti e corrotti, spregevoli, vili, indegni. Perché, a mio avviso, la fede in Dio non è affatto una questione di raziocinio. Io credo che sia unicamente una questione di amore e che presupponga, da parte nostra, l'ammissione della possibilità che Dio ci ritenga degni del Suo amore».

Ancora una volta l'esorcista tacque, soprappensiero. Dopo un poco, riprese a parlare più lentamente, a voce più bassa, quasi stesse facendo un esame interiore: «Il demone sa... sa dove colpire!...». E annuiva, come a conferma. «Tanto tempo fa, io disperavo di poter mai amare il mio prossimo. Certe persone... provocavano in me un senso di ripulsa. Come avrei potuto amarle?, mi chiedevo. E questo costituiva il mio tormento, Damien. Un tormento che mi condusse a perdere la fiducia in me stesso... e, ben presto, anche nel mio Dio. La mia fede ne fu scossa...».

Con avido interesse, Karras alzò gli occhi sul volto del vecchio sacerdote. «E poi?... Poi cosa accadde, padre Merrin?» domandò.

«Oh... Ecco: finalmente, un bel momento, mi resi conto che Dio non avrebbe mai preteso da me qualcosa di cui mi sapevo psicologicamente incapace. L'amore che Lui mi chiedeva era un atto della mia volontà, non un sentimento puramente emotivo. Nella maniera più assoluta. Dio mi chiedeva di agire con amore, di comportarmi verso gli altri con amore. E che io lo facessi nei riguardi di coloro che più mi repellevano era un atto d'amore più grande di qualsiasi altro, credo.» Scosse la testa. «So che tutto ciò può apparire molto ovvio, Damien, lo so, ma in quel tempo io non riuscivo a vederlo. Curiosa cecità. Chissà quanti mariti, quante mogli credono probabilmente di aver cessato di amare soltanto perché i loro cuori non battono più così rapidamente come un tempo alla vista della persona amata» soggiunse con tristezza. Scosse la testa. «Ah, buon Dio... L'ossessione, o meglio la presa di possesso del demone, sa dove si manifesta, Damien? Non nelle guerre, come alcuni tendono a credere, o per lo meno non tanto come sembra... e molto raramente in interventi eccezionalmente drastici come questo... di questa bambina, povera creatura. Il più delle volte, io ne riconosco la presenza nelle piccole cose, Damien. L'ossessione si manifesta, infatti, soprattutto negli assurdi, insignificanti rancori, nei malintesi, nella parola crudele e tagliente, che sale alle labbra involontariamente in una discussione tra amici. Tra innamorati. Se di queste piccole cose ne mettiamo insieme un bel po', non abbiamo nessun bisogno dell'intervento di Satana per fomentare le nostre guerre. Ci riusciamo da soli... da soli...»

Dalla camera da letto continuava a pervenire il salmodiare cadenzato. Padre Merrin guardò la porta e ascoltò per un certo tempo. Poi: «E persino da tutto questo, dal male cioè, nascerà il bene. In qualche modo. In qualche modo che noi potremmo non capire mai o non vedere mai».

Una breve pausa. Poi, come parlando a se stesso, il vecchio continuò: «Forse il male è il crogiuolo della bontà. E forse persino Satana, Satana, sì, suo malgrado e chissà per quali vie, serve a portare a compimento la volontà di Dio».

Non aggiunse altro. Per un certo tempo rimasero entrambi in silenzio. Karras, però, rifletteva. Gli venne in mente un'altra obiezione e sondò ancora una volta il vecchio sacerdote: «Una volta cacciato fuori il demone, che cosa potrà impedirgli di tornare a prendere possesso dello stesso corpo?»

«Non lo so» rispose padre Merrin. «Non lo so proprio. Comunque, a quanto risulta, un ritorno non si è mai verificato. Mai. Mai.» Si portò una mano al viso, stirandosi la pelle agli angoli degli occhi. «Damien... È un nome meraviglioso» mormorò. Nella voce, Karras sentì una spossatezza indicibile. E anche qualcos'altro. Una certa ansietà. Una sfumatura nell'accento faceva pensare a un dolore fisico nascosto, represso.

D'un tratto, Merrin si staccò bruscamente dalla parete. Continuando a nascondere il volto con la mano, dopo essersi scusato, si allontanò a passi rapidi lungo il corridoio, dirigendosi verso il bagno.

Cosa stava succedendo? si chiese Karras. D'improvviso, la fede salda e semplice dell'esorcista provocò in lui un'ondata di ammirazione mista ad invidia. Tornò a voltarsi verso la porta. Il canto era cessato. Quella terribile notte era finalmente finita?

Pochi minuti dopo Sharon uscì dalla stanza con un fagotto di biancheria sporca, maleolente. «Si è addormentata» disse, senza guardarlo in faccia, tirando dritto per il corridoio.

Padre Karras aspirò profondamente e rientrò nella camera. Rabbrividì per il freddo. Il fetore gli diede un senso di nausea. Lentamente si portò vicino al capezzale. La piccola Regan! Addormentata, finalmente. E finalmente — pensò — anch'egli avrebbe potuto riposare un poco.

Allungò la mano e strinse tra le dita l'esile polso della bambina, guardando la lancetta dei secondi dell'orologio.

«Perché mi fai una cosa simile, Dimmy?»

Il suo cuore si fece di gelo.

«Perché mi fai questo?»

Immobile come una statua, non respirò, non osò alzare lo sguardo verso quella voce afflitta, non osò affrontare la conferma che quegli occhi erano veramente là, davanti a lui: occhi accusatori, occhi colmi di solitudine. Sua madre!... Sua madre!

«Prima mi lasci sola per farti prete, Dimmy, poi mi mandi in un manicomio...»

Non guardare!

«E adesso mi cacci pure via?...»

Non è lei!

«Ma perché mi fai questo?»

La testa che gli scoppiava, il cuore in gola, Karras strinse spasmodicamente le palpebre, mentre quella voce si faceva implorante, spaventata, lacrimosa. «Una volta eri così buono, Dimmy. Ti prego!... Ho paura! Per piacere, Dimmy, non cacciarmi fuori! Ti prego!»

... non è mia madre!

«Fuori non c'è niente! Soltanto oscurità, Dimmy! Solitudine!»Ora la voce grondava lacrime.

«Tu non sei mia madre!» sussurrò con veemenza repressa Damien Karras.

«Dimmy, ti prego...»

«Tu non sei mia...»

«Oh, per l'amor del cielo, piantala, Karras!»

Dennings.

«Senti, Karras, è semplicemente ingiusto cacciarci fuori di qui! Parola! Per quanto mi riguarda, ad esempio, mi pare di avere pure il diritto di restare qua dentro. Quella carognetta! Lei mi ha privato del mio corpo e direi che per una questione di equità dovrebbe essermi permesso di stare nel suo, non trovi? Oh, accidenti a te, Karras, guardami, su! Andiamo, coraggio! Non mi capita spesso di avere l'opportunità di fare la mia comparsa e di dire la mia. Dài, guardami!»

Il gesuita aprì gli occhi e vide la personalità "Dennings".

«Così, così va meglio. Lo sai? È stata lei ad ammazzarmi. Non il nostro locandiere, no, Karras... È stata lei! Sissignore, parola!» Annuiva ripetutamente. «Lei! Io ero da basso, mi facevo i fatti miei, al bar, capisci?, quando mi parve di sentirla lamentarsi. Di sopra. Be', in fin dei conti dovevo pure andare a vedere se si sentiva male, no? Perciò salii, venni qui e non è vero che quella carognetta mi prese per il collo, cagnetta fottuta?!...» Ora la voce si era fatta piagnucolosa, patetica. «Cristo, mai in vita mia avevo visto una forza del genere! Cominciò a strillare che le avevo fregato l'affetto della madre, o che so io, che ero io la causa del divorzio... Roba del genere. Un pasticcio da non capirci un accidente. Ma una cosa ti dico, caro mio: lei mi ha scaraventato giù da quella fottutissima finestra come niente...» La voce era stridula, ora, stizzosa. «Lei mi ha ucciso! Mi ha ucciso, la fottutissima! E adesso dimmi tu se ti sembra leale sbattermi fuori... Avanti, Karras, rispondimi! Sul serio, ti pare che sia leale? Davvero davvero?»

Karras inghiottì la saliva.

«Sì o no?» Sempre più insistente. «È leale?»

«Come mai... la testa girata all'incontrano...» chiese il gesuita con voce roca.

Dennings distolse lo sguardo. Si guardò intorno con aria evasiva. «Oh, sai, è successo accidentalmente... Un caso... bizzarro... Battendo sugli scalini... Puro caso.»

La gola secca, il gesuita meditò sulla risposta. Poi, con un gesto che voleva essere di congedo, riprese a tastare il polso di Regan, gli occhi sull'orologio.

«Dimmy, ti prego! Non farmi stare sola!»

Sua madre.

«Se invece del prete facevi il dottore, pensa che bella casa per me, Dimmy! Mica con gli scarafaggi, e mica da sola in quel buco di appartamento! E allora...»

Karras si sforzava di astrarsi, di non lasciare penetrare dentro di sé il significato di quelle parole, ma la voce si fece nuovamente lacrimosa.

«Dimmy, ti prego!»

«Tu non sei mia...»

«Non vuoi proprio guardare in faccia la verità, schifosa carogna?» Era ricomparso il demone. «Bevi tutte quelle balle che ti racconta Merrin?» Ribollente, esagitato. «Credi davvero che lui sia buono e santo? Be', non lo è, invece! È orgoglioso e spregevole! E te lo proverò, Karras! Te lo proverò uccidendo la porcella!»

Il gesuita aprì gli occhi, ma ancora non osava guardare.

«Sì, lei morirà! Il Dio di Merrin non potrà salvarla, Karras!... E nemmeno tu la salverai! Morirà a causa della superbia di Merrin e della tua incompetenza! Bel dottore guastamestieri! Non avresti dovuto imbottirla di Librium!»

Damien Karras trovò finalmente la forza di guardare quegli occhi. Scintillavano, trionfanti, di bruciante malvagità.

«Tastale il polso!» il demone ghignò. «Avanti, Karras, tastale il polso!...»

Lo aveva ancora stretto tra le dita. Il suo volto si rabbuiò: il battito del polso era rapido e...

«Debole?» gracchiò il demone. «Eh, sì. Un tantino. Per il momento soltanto poco poco...»

Il gesuita andò a prendere la sua borsa e tirò fuori lo stetoscopio. «Bravo, ascolta! Karras, ascolta bene!» lo incitò con voce stridente il demone.

Karras ascoltò: il battito del cuore era lontano e fievole.

«Io non le permetterò di dormirei»

Il gesuita guardò il demone e rabbrividì.

«Sì, Karras, non dormirà!... Hai capito? Io non permetterò che la porcella dorma!»

E il demone rovesciò la testa, sghignazzando con giubilo malvagio. Damien Karras, come istupidito, fissava il vuoto: non udì nemmeno Merrin entrare nella camera.

L'esorcista lo raggiunse accanto al letto e scrutò il suo volto. «Cos'è successo?» domandò.

«Il demone... Ha detto che non la lascerà dormire...» Poi, costernato, volgendo verso il vecchio sacerdote il suo sguardo carico di angoscia: «Il cuore non funziona a dovere, padre: c'è una insufficienza cardiaca. Se la bambina non avrà al più presto alcune ore di riposo, morirà di collasso cardiaco...».

L'esorcista si allarmò. «Non può darle un sonnifero? Qualche medicina per farla dormire?»

Karras scosse la testa. «No. Troppo pericoloso: può entrare direttamente in coma...» Si voltò verso Regan, che chiocciava come una gallina. «Se la pressione del sangue dovesse abbassarsi ancora...» Lasciò la frase in sospeso.

«Che cosa si può fare?»

«Niente, niente... A quanto ne so io, per lo meno... Però ogni giorno la medicina fa progressi... Padre Merrin, io chiamo uno specialista in cardiologia!» esclamò bruscamente.

Padre Merrin accennò di sì con la testa.

Damien Karras scese dabbasso. Trovò Chris che vegliava in cucina. Dalla camera dopo la dispensa, gli giunse il pianto di Willie e la voce di Karl che cercava di rincuorare la moglie.

Badando bene a non rivelare del tutto la gravità della situazione, il gesuita spiegò a Chris la necessità di un consulto. Ottenuto il consenso, telefonò a un amico, un famoso specialista, ordinario di cardiologia nella università di Georgetown. Scusandosi di averlo svegliato, gli espose in breve il caso.

«Vengo immediatamente» assicurò il cardiologo.

Arrivò, infatti, meno di mezz'ora dopo. Condotto nella camera di Regan, reagì con stupore al freddo e al fetore, con orrore e compassione alle condizioni fisiche della bambina, la quale, in quel momento, stava gracchiando parole incomprensibili. Mentre lo specialista la visitava, Regan passò varie volte, alternativamente, dal canto ai versi di animali. Poi ricomparve la personalità "Dennings".

«Oh, è terribile» uggiolò, rivolgendosi al cardiologo «spaventoso, ecco! Spero proprio che lei possa fare qualcosa! Dica, c'è speranza? Capisce, se questa ci muore, noi non sapremo dove andare... Non abbiamo nessun altro posto... E tutto perché... Oh, accidenti a lui, a quel demonio cocciuto!»

Mentre lo specialista — che stava misurando la pressione di Regan — sbarrava gli occhi, Dennings si rivolse a Karras, protestando: «Cosa accidenti aspetti? Non lo vedi che la cagnetta dovrebbe essere all'ospedale da un pezzo? Il suo posto è in un manicomio, Karras! Lo sai benissimo, andiamo! Insomma! Piantatela con i vostri fottuti incantesimi! Se muore, la colpa è tua, Karras! Tutta tua! Già, perché se lui è cocciuto, non è mica una buona ragione perché tu ti comporti come un moccioso! Tu sei un medico. Dovresti saperlo, come vanno queste cose. Cerca di ragionare: di questi tempi, la crisi degli alloggi è terribile anche per noi. Se dobbiamo...»

Bruscamente, tornò il demone, ululando come un lupo. Impassibile, il cardiologo slacciò la fascia dello sfigmomanometro. Poi fece cenno al gesuita di aver finito.

Uscirono in corridoio. Il cardiologo si voltò a guardare la porta della camera di Regan per un momento. Poi chiese a Karras: «Cosa diavolo sta succedendo, là dentro, padre?»

Il sacerdote voltò la testa di lato. «Non posso dirlo...» rispose a bassa voce.

«Okay.»

«Allora?... Qual è il suo giudizio?»

L'atteggiamento dello specialista era poco incoraggiante. «Bisogna impedirle di continuare ad agitarsi in quella maniera... Dovrebbe assolutamente dormire..., addormentarsi prima che la pressione scenda ancora...»

«Non c'è nulla che io possa fare?»

Il cardiologo guardò il sacerdote dritto negli occhi. Poi rispose: «Pregare».

Diede la buona notte e se ne andò. Il gesuita lo seguì con gli occhi: ogni sua arteria, ogni suo nervo invocavano riposo, invocavano speranza, invocavano un miracolo, sebbene egli sapesse che nessun miracolo poteva verificarsi. «... Non avresti dovuto imbottirla di Librium!...»

Tornò indietro e aprì la porta della camera con una mano che gli pesava quanto il suo cuore.

Suoni striduli: Regan nitriva come un cavallo. Padre Merrin era accanto al letto. Udendo entrare Karras, gli rivolse un'occhiata interrogativa. Karras scosse la testa. L'esorcista annuì. C'era una grande tristezza sul suo volto; poi una rassegnata accettazione e, quando si voltò di nuovo verso Regan, una cupa determinazione.

Si inginocchiò accanto al letto. «"Padre Nostro..."» cominciò.

Regan gli lanciò uno sbruffo di bile scura e puzzolente, poi gracchiò: «Sarai sconfitto! E lei morirà! Lei morirà!»

Karras prese la sua copia del Rituale e l'aprì, gli occhi sempre fissi sul letto.

«"Salva la tua serva"» pregò Merrin.

«"Dall'assalto del nemico".»

Nel cuore di Karras, un tormento disperato. Addormentati! Addormentati! tuonava mutamente la sua volontà, in uno sforzo frenetico.

Ma Regan non dormì.

Non all'alba.

Non a mezzogiorno.

Non al cader della sera.

Non l'indomani, domenica, quando il polso, sempre più filiforme, arrivò alle centoquaranta pulsazioni al minuto. Gli attacchi si susseguivano senza soluzione di continuità, e invano i due sacerdoti ripetevano il rituale dell'esorcismo senza concedersi un'ora di sonno. Con ansia febbrile, Karras si sforzava di escogitare nuovi sistemi per arginare il dispendio di energie provocato dalle crisi. Tentò con un lenzuolo costrittivo che limitava al minimo i movimenti di Regan. Per alcune ore impedì a tutti gli altri di entrare nella stanza, sperando che in mancanza di elementi provocatori gli attacchi sarebbero cessati. Tutto si rivelò inutile. Inoltre, il continuo gridare sfibrava Regan per lo meno quanto l'agitazione delle membra. Eppure, malgrado tutto, la pressione reggeva. Ma per quanto tempo ancora? Karras soffriva tutte le torture. Oh, mio Dio, non permettere che muoia! Non permettere che muoia! Fa che dorma! Fa che dorma! gridava dentro di sé le mille volte. E mai si rese conto che i suoi pensieri erano preghiere. Sapeva soltanto che le sue preghiere non venivano esaudite.

Alle sette di sera di quella domenica, Damien Karras era ancora seduto là, in quella camera, accanto al vecchio padre Merrin. Silenzioso, stremato di forze, tormentato dalle accuse contenute negli insidiosi attacchi del demone: la sua mancanza di fede; la sua incompetenza medica; il suo abbandono della madre per andare alla ricerca di una migliore posizione sociale; e le condizioni fisiche della bambina. Colpa sua!... «Non avresti dovuto imbottirla di Librium.»

I due sacerdoti avevano appena completato un ciclo del rituale. Stavano riprendendo fiato, mentre Regan salmodiava Panis Angelicus. Raramente uscivano dalla stanza. Karras soltanto una volta, per fare una doccia e cambiarsi. Il freddo li aiutava a tenersi svegli. Anche il puzzo, che il mattino della domenica aveva subito una variante: si era trasformato in un fetore di carni putrefatte, marce, che prendeva alla gola.

Mentre, con occhi iniettati di sangue e brucianti di febbre, Damien Karras fissava Regan, gli parve di udire un leggero rumore. Come un crepitio. Di nuovo. Nello sbattere le palpebre, si accorse che erano proprio queste a fare quel rumore, tanto erano cispose. Si voltò a guardare padre Merrin. Durante tutte quelle ore, l'esorcista aveva detto molto poco di sé: di quando in quando un accenno a qualche insignificante episodio della sua infanzia: reminiscenze, piccole cose senza importanza, la storia di un anatroccolo chiamato Clancy. Karras era angustiato anche per lui, per il vecchio sacerdote. La mancanza di sonno, le aggressioni verbali del demone... A quell'età! Padre Merrin chiuse gli occhi e si lasciò cadere il mento sul petto. Karras tornò a guardare Regan, si alzò a fatica e si avvicinò al letto. Dopo aver controllato il polso della bambina, si dispose a misurare ancora una volta la pressione arteriosa. Nell'avvolgerle intorno al braccio la fascia nera dello sfigmomanometro sbatté ripetutamente le palpebre, nel tentativo di schiarirsi la vista.

«Oggi è il giorno della Mamma, Dimmy.»

Per un istante, egli restò paralizzato. Si sentì strappare il cuore dal petto. Guardò poi in quegli occhi che non sembravano più quelli di Regan, ma altri occhi, colmi di tristezza e di rimprovero, immagini di solitudine. Quelli di sua madre.

«Non mi volevi più? Perché mi hai lasciato morire sola come un cane, Dimmy? Perché? Perché tu...»

«Damien!»

Era padre Merrin, che lo aveva saldamente afferrato per un braccio. «Ora lei mi fa un piacere, Damien: va via di qui e si prende qualche ora di riposo.»

«Dimmy, ti prego!Perché tu...»

Entrò Sharon per cambiare le lenzuola.

«Vada, vada a riposarsi un po', Damien!» insistette il vecchio sacerdote.

Con un nodo che gli chiudeva la gola, Karras cedette: volse le spalle e uscì dalla camera. In corridoio dovette fermarsi un attimo, tanto era sfinito. Ai piedi della scala, si fermò ancora, indeciso. Caffè? Ne sentiva un bisogno estremo. Ma ancora più premente era il bisogno di una doccia, di cambiarsi la biancheria, di radersi.

Uscì in strada e raggiunse la palazzina dei gesuiti. Corse quasi alla cieca nella sua camera. E non appena vide il letto... Lascia perdere la doccia. Dormi. Una mezz'oretta. Mentre allungava la mano per sollevare il microfono e dare disposizioni al centralino di svegliarlo, il telefono squillò.

«Sì, pronto!» disse con voce roca.

«Padre Karras, c'è qui un signore che vuole parlare con lei, il signor Kinderman.»

Per un momento, trattenne il fiato. Poi, con voce appena udibile, rispose: «Gli dica per piacere che lo raggiungo tra un minuto».

Nel togliere la comunicazione, il gesuita notò che sul suo scrittoio c'era una stecca di Carnei, con un biglietto di Dyer. Lo lesse a fatica, tanto il suo sguardo era annebbiato:

 

Sull'inginocchiatoio della cappella, di fronte alla lampada votiva, è stata rinvenuta una chiave del Playboy Club. È forse la tua? In tal caso puoi reclamarla in portinerìa.

 

Senza reagire nemmeno con l'ombra di un sorriso, Karras posò il biglietto, si cambiò rapidamente e uscì dalla stanza, dimenticando di prendere un pacchetto di sigarette.

Kinderman lo aspettava in portineria, vicino allo sportello del centralino telefonico. Con gesti delicati, stava dando una più artistica disposizione ai fiori contenuti in un vaso. Quando si girò e vide Karras, teneva tra le dita lo stelo di una camelia rosa.

«Oh, Padre Karras! Padre Karras!» esclamò, illuminandosi in volto. Subito, però, al notare l'estrema stanchezza tradita dai lineamenti del gesuita, la sua espressione si fece preoccupata. Dopo aver rimesso la camelia nel vaso, si affrettò ad andargli incontro. «Padre, ma lei ha una faccia da far spavento! Cosa le è successo? È questo il bel vantaggio che ricava dal correre avanti e indietro sui sentieri del campus? E la pianti, dia retta! Su, venga!» Afferrò saldamente il sacerdote per il gomito, trascinandolo verso l'uscita. «Ha un minutino di tempo per me?» domandò mentre s'immettevano nella strada.

«Purché facciamo presto» mormorò Karras. «Di che si tratta?»

«Due paroline soltanto. Ho bisogno di un consiglio, niente altro che di un consiglio.»

«A che proposito?»

«Un attimo, mi dia un attimo» protestò Kinderman con un gesto che accantonava temporaneamente l'argomento. «Facciamo due passi, prendiamo un po' di aria. Ci farà bene.» Infilò il braccio sotto quello del gesuita, convogliandolo fermamente dall'altra parte della Prospect Street, in linea diagonale. «Ah! Guardi, guardi laggiù! Che bellezza! Stupendo!» Con un dito, indicava il sole, basso sull'orizzonte. Stava calando sul Potomac. Nella quiete dell'ora vespertina risuonavano argentine risa e voci indistinte, confuse: gli studenti dell'università riuniti davanti a uno spaccio di bevande analcooliche, in prossimità dell'incrocio con la Trentaseiesima Strada. Uno dei giovani tirò scherzosamente un pugno a un compagno, colpendolo al braccio. I due cominciarono una amichevole scazzottata.

«Ah, che bella cosa, il college...» sussurrò Kinderman, con tono lamentoso, mentre li osservava. «Io, purtroppo, niente... Non mi fu possibile... Ma come vorrei... come vorrei...» Notò che il gesuita era assorto nella contemplazione del tramonto. «Padre, dicevo sul serio. Lei ha davvero una brutta cera... Che è successo?... È stato malato?»

Quando si sarebbe deciso di venire al punto? si chiedeva Karras. «No, ho avuto molto da fare, ecco tutto.»

«Allora ci vada più piano!» consigliò Kinderman, ansimando, «Rallenti, non sforzi il motore... Se non lo sa lei cosa deve fare... A proposito, ha visto i balletti del Bolshoi, al Watergate?»

«No.»

«Nemmeno io. Ma mi sarebbe piaciuto. Sono di una grazia, quei ballerini, di una perfezione...»

Erano arrivati al muretto della rimessa tranviaria. Poggiando l'avambraccio sul parapetto, Kinderman fissò il sacerdote: Karras, con le mani poggiate a piatto sul ripiano del muretto, guardava pensosamente dall'altra parte del fiume.

«Allora, tenente, cosa la preoccupa?»

«Be', ecco qui, padre...» sospirò Kinderman. «Purtroppo, ho un grosso problema.»

Il gesuita lanciò un rapido sguardo alle persiane chiuse della finestra della camera di Regan. «Problema professionale?» domandò.

«In parte... Soltanto in parte.»

«Cioè?»

«Vede, soprattutto è...» Imbarazzato, Kinderman distolse lo sguardo. «Direi che è soprattutto una questione di etica, padre Karras... Una questione...» Si girò. Si appoggiò col dorso al muretto. Occhi a terra, sopracciglia aggrottate. Si strinse nelle spalle. «È una faccenda di cui non posso parlare con nessuno. Meno che meno col mio capitano, capisce? Non potrei, a lui non potrei proprio dirglielo. Così ho pensato...»

Il suo volto s'illuminò di improvvisa animazione. Continuò: «Io avevo una zia... Stia a sentire questa, questa è proprio buffa... Dunque, quella mia zia aveva un sacro terrore del marito. Per anni e anni non aveva mai osato dirgli una sola parola in più. Non avrebbe mai avuto il coraggio di alzare la voce, mai!E così, quando per un motivo qualsiasi ce l'aveva con lui, sa che faceva? Lei non ci crederà... Correva in camera da letto, s'infilava nell'armadio a muro e là dentro, al buio, tra i vestiti appesi e le tarme, si metteva a imprecare contro il marito. Andava avanti per una ventina di minuti. Sapesse quante gliene diceva! Gliele cantava tutte, senza peli sulla lingua. Davvero! Si sfogava, ecco. Poi usciva di là. S'era tolta un peso, e correva a dare a mio zio un bacio sulla guancia. Bene, che ne dice, padre Karras? È una buona terapia, sì o no?»

«Eccellente» disse il gesuita con un sorriso smorto. «Quindi io ora dovrei essere il suo armadio a muro, vero, tenente? È questo che voleva farmi capire?»

«In un certo senso...» Abbassò nuovamente gli occhi. «Per un certo verso. Ma in maniera molto più seria, padre Karras.» Dopo una breve pausa, calcando le parole, soggiunse: «E l'armadio a muro deve darmi una risposta!»

«Tenente, mi dà una sigaretta?» e le mani gli tremavano.

Il poliziotto guardò il gesuita con incredulo stupore: «Nelle condizioni di salute in cui mi ritrovo, dovrei fumare, secondo lei?».

«No, certo che no» mormorò Karras, calcando le mani intrecciate sul ripiano del muretto, fissandole. Smettetela di tremare!

«Che razza di dottore! Se mi trovassi ad essere ammalato nel cuore di una giungla e invece di Albert Schweitzer avessi la disgrazia di avere soltanto lei, vicino, Dio me ne scampi e liberi... Lei cura ancora le verruche con la pipì delle rane, dottor Karras?»

«Dei rospi, non delle rane» rispose il gesuita a mezza voce.

«Oggi non è in vena di scherzare, vero?» si preoccupò Kinderman. «Qualcosa non va?»

Serrando le labbra, il sacerdote scosse la testa. Poi, sottovoce: «Mi dica, tenente».

Il poliziotto tornò a voltarsi verso il fiume, esalando un profondo sospiro. «Come le dicevo...» ansimò, si grattò la fronte con l'unghia del pollice «come le dicevo... Dunque, mettiamo che io sia impegnato nella risoluzione di un caso, padre Karras. Un caso di omicidio...»

«Dennings?»

«No, no, sto soltanto prospettando un'ipotesi astratta. Quindi, lei non può essere al corrente. Lei non ne sa proprio niente. Assolutamente niente.»

Karras annuì.

«Il delitto ha tutti i crismi dell'assassinio commesso a scopo rituale...» proseguì il poliziotto, accigliato, come rimuginando tra sé e sé. Sembrava incontrare una certa difficoltà nello scegliere le parole adatte. «Mettiamo che in una certa casa, una casa puramente ipotetica, abitino cinque persone e che l'assassino non possa essere che una di queste persone.» Diede maggiore enfasi alle sue parole battendo ripetutamente la mano sul muretto. «Badi che di questo ne sono certo! Assolutamente certo... È un fatto inconfutabile.» S'interruppe, esalando il fiato a fatica, lentamente. «Ma ecco dove sta il problema... Tutti gli indizi puntano decisamente verso una sola direzione... verso una bambina, padre Karras. Una bambina che avrà sì e no un dieci, dodici anni, non più. Potrebbe essere mia figlia...» Tenne ostinatamente gli occhi fissi sulla strada che costeggiava il fiume. «Sì, lo so, sembra un'assurdità... È inverosimile..., ma vero! Ora, ecco che in quella casa arriva un prete, un prete molto conosciuto, famoso... Tenga sempre presente che sto parlando di un caso puramente ipotetico, padre. Così, sempre per ipotesi, supponiamo che un mio altrettanto ipotetico genietto mi abbia informato che parecchio tempo fa quel certo prete curò un paziente affetto da una malattia molto speciale. Una malattia mentale, sia detto per inciso. Accenno al fatto soltanto perché penso che questo possa forse interessarle come medico, padre Karras.»

Il gesuita era sicuro che il suo volto si era fatto color della cenere.

«Si dà il caso che questa malattia dia origine a manifestazioni morbose che potremmo chiamare di satanismo e che uno dei sintomi sia una eccezionale forza fisica... Sì, una forza incredibile. Quindi, questa ipotetica bambina sarebbe stata in grado di torcere il collo di un uomo fino a girargli la testa all'incontrario, capisce? Sì, ne sarebbe stata capace...» A conferma di quanto diceva, annuì ripetutamente. «Non vi è dubbio... E qui si presenta il dilemma...» Con una smorfia, espresse la sua perplessità. «Lei capisce, padre..., la bambina non è responsabile delle proprie azioni: è una demente.» Si strinse nelle spalle. «E poi... non è che una bambina. Una bambina Tentennò la testa. «Ma purtroppo, data la sua malattia, potrebbe rappresentare un pericolo... Chi mi dice che in un domani non uccida qualcun altro?... Come si fa a saperlo?»

Kinderman, ancora una volta, fissò con gli occhi socchiusi la sponda opposta del fiume. Poi: «Ed ecco il problema: cosa dovrei fare, io? Sempre nel quadro delle ipotesi, s'intende. Non pensarci più?... Lasciar perdere tutto, nella speranza che la bambina... — breve pausa — che la bambina guarisca?...» Tirò fuori il fazzoletto. «Padre, non so cosa fare... Non lo so proprio.» Si soffiò il naso. «È tremendo, dover prendere una decisione... Terribile, ecco.» Stava cercando un angolo pulito del fazzoletto. «Terribile. E l'idea di esser proprio io a prendere questa decisione mi è insopportabile.» Tornò a soffiarsi il naso, schiacciando leggermente una narice. «Padre, quale sarebbe, secondo lei, la cosa giusta da fare in un caso come questo? Sempre sul piano ipotetico, lei cosa farebbe al posto mio?»

Per un momento il gesuita fremette, sentendosi ribollire dentro la rivolta, la collera cieca, esasperata da quel nuovo peso che si aggiungeva al suo già gravoso fardello. Attese il riflusso dell'ondata. Il suo sguardo incontrò quello di Kinderman.

«Collocherei il mio problema nelle mani di una più alta autorità» rispose sommessamente.

«È quanto credo di aver fatto» disse Kinderman, anche lui in un soffio.

«Sì... E lascerei le cose come stanno...»

Si guardarono per un buon momento, occhi negli occhi. Poi Kinderman si mise in tasca il fazzoletto.

«Sì... sì, me l'aspettavo che lei mi avrebbe risposto così.» Ancora una volta, fece cenno di sì con la testa, quindi distolse

lo sguardo e tornò ad ammirare il tramonto. «Che meraviglia! Uno spettacolo!...» Tirò indietro la manica per dare un'occhiata all'orologio da polso. «Be', adesso devo proprio andare. A quest'ora, la mia signora starà già strepitando: "La cena sta diventando fredda...". Grazie, padre. Ora mi sento meglio..., molto meglio. Oh, a proposito, potrebbe farmi un favore? Trasmettere un messaggio da parte mia? Se le capita di imbattersi in un tale che si chiama Engstrom, gli dica... ecco, gli dica soltanto: "Elvira è in una clinica e sta bene". Nient'altro. Lui capirà... Me lo farebbe, questo piacere? Sempre, bene inteso, che le capiti d'incontrare Engstrom.»

Sul momento, padre Karras rimase attonito. Poi: «Certo» disse. «Certo...»

«E non potremmo andare al cinema, una di queste sere, padre?»

Il gesuita abbassò gli occhi e mormorò: «Sì... Presto».

«"Presto". Lei è come i rabbini quando parlano della venuta del Messia: "Presto", sempre "Presto". E me ne faccia anche un altro, di piacere, padre.» Dall'espressione del volto

il poliziotto sembrava seriamente preoccupato. «Per un po' di tempo, la smetta di correre per quei sentieri difficili. Si limiti a camminare. Cammini a passo d'uomo. Rallenti il ritmo. Mi dica, lo farà?»

«Lo farò, sì.»

Mani in tasca, Kinderman fissava il marciapiede con aria rassegnata. «Me lo figuro...» sospirò stancamente. «Presto. Sempre presto.» Prima di muoversi, sempre a capo chino, pose una mano sulla spalla del gesuita. Gli diede una strizzatina. «Elia Kazan le manda tanti saluti, padre.»

Per qualche tempo Karras lo seguì con gli occhi, mentre egli si allontanava col suo passo ondeggiante. Con un certo stupore. Con una certa tenerezza. E con rinnovata sorpresa per le infinite svolte di quel labirinto chiamato cuore. Poi alzò gli occhi verso le nubi laminate di rosso, al di sopra del fiume e verso occidente, dove esse si ammucchiavano sull'orlo del mondo, tenuamente scintillanti come il ricordo di una promessa. Strinse la mano a pugno e la premette lateralmente sulla bocca, abbassò lo sguardo verso la tristezza che gli sgorgava dalla gola per salire agli angoli degli occhi. Attese. Non osava lanciare un'altra occhiata alla promessa racchiusa nel tramonto. Guardò invece la finestra chiusa della camera di Regan. Si avviò verso la casa.

Gli aprì Sharon — reggeva un fagotto di biancheria puzzolente. Gli disse che nulla era cambiato. «Devo portare questa roba giù in lavanderia» si scusò, prima di andarsene.

La seguì con gli occhi, pensando con desiderio a una tazza di caffè. Udì il demone urlare le sue malvagità contro padre Merrin e allora si avviò per salire direttamente di sopra. D'un tratto ricordò il messaggio di Kinderman per Karl. Dov'era? Si voltò per chiederlo a Sharon, ma fece appena in tempo a vederla scomparire giù per la scala che portava al seminterrato. Muovendosi come in una nebbia, andò in cucina.

Karl non c'era. Soltanto Chris, seduta al tavolo. Guardava... Che cosa? Un album. Fotografie, foglietti incollati su cartoncini. Le mani a visiera sulla fronte impedirono a Chris di vedere il gesuita avvicinarsi.

«Mi scusi» disse Karras con voce bassissima. «Karl è nella sua camera?»

Lei scosse la testa. «È uscito a fare la spesa» rispose.

La sua voce era un rauco sussurro e padre Karras si accorse che tirava su col naso, come a reprimere il pianto.

«Il caffè sta passando, padre. Tra un minuto dovrebbe essere pronto...» disse Chris.

Mentre sorvegliava la spia luminosa della macchinetta del caffè, il gesuita udì che ella si alzava in piedi. Si voltò. Chris gli passò accanto rapidamente, il viso girato dall'altra parte. Con un tremulo «Mi scusi» lasciò la cucina.

Spinto dalla curiosità, il gesuita si portò vicino al tavolo. Guardò l'album: normali fotografie, istantanee. Fotografie di una bambina. Con un sussulto, Karras si rese conto che era Regan. In una, stava spegnendo le candeline di una torta da compleanno, coperta di panna montata; in un'altra, seduta sulla banchina di un laghetto, in shorts e maglietta sportiva, teneva un braccio alzato in un gesto di festoso saluto verso la macchina fotografica. Sulla maglietta era stampigliato qualcosa... camp... Il resto non si leggeva.

Sulla retropagina era stato incollato un foglietto di carta rigata, strappato da un quaderno. Una calligrafia infantile:

 

Se invece della creta

potessi adoperare le cose più belle del mondo

come l'arcobaleno,

e le nuvole,

e il canto degli uccelli,

forse, mammina mia cara,

mettendole tutte insieme,

potrei fare una statuina che ti somiglia.

 

E, sotto al poemetto: "ti voglio tanto bene! tantissimi AUGURI PER IL GIORNO DELLA MAMMA!".

Una firma, a matita: "Rags".

Il gesuita chiuse gli occhi: quell'incontro casuale gli era intollerabile. Voltò le spalle e si trascinò stancamente fino al ripiano di formica sul quale poggiava la macchinetta elettrica. Mentre aspettava che il caffè finisse di passare, chiuse di nuovo gli occhi, aggrappandosi al banco con tutte le sue forze. Dimentica, non pensarci! Non pensare a niente! Ma non ci riusciva: ascoltava il ritmico cadere delle gocce attraverso il filtro e le sue mani presero a tremare. La compassione esplose in una rabbia improvvisa, cieca: una rivolta contro la malattia, contro il dolore, contro la sofferenza delle creature innocenti, contro la mostruosa, atroce corruzione della morte.

"Se invece della creta..."

Gradatamente, la rabbia sfociò in desolazione, in tristezza impotente.

"... le cose più belle del mondo..."

No, non poteva aspettare che il caffè fosse pronto. Doveva andare... tentare qualcosa subito... aiutare qualcuno... tentare...

Uscì dalla cucina. Passando davanti al soggiorno, vide che Chris, abbandonata sul divano, singhiozzava convulsamente, mentre Sharon cercava invano di confortarla. Distolse lo sguardo, salì la scala, udì il demone ruggire con furia selvaggia, scatenato contro l'esorcista.

«... avresti perduto! Saresti stato sconfitto, e lo sapevi bene! Merrin! Carogna, bastardo! Torna qui! Torna e...» Karras cercò di non ascoltare.

"... e il canto degli uccelli..."

Entrando nella camera, il colpo di freddo gli ricordò che si era dimenticato di indossare un pullover. Guardò Regan. La testa girata di lato, il demone persisteva nel suo frenetico farneticare.

"... le cose più belle..."

A passi lenti si avvicinò alla sua poltrona, prese una coperta e se la mise sulle spalle. Era talmente sfinito che soltanto in quel momento si accorse dell'assenza di Merrin. Nel dirigersi verso il letto per misurare ancora una volta la pressione di Regan, inciampò quasi nel corpo dell'esorcista: giaceva a terra, bocconi sullo scendiletto, floscio e disarticolato. Sgomento, Karras si buttò ginocchioni. Rivoltò il corpo faccia in su. Notò il colorito bluastro. Tastò il polso. In quell'attimo angoscioso, straziante come una pugnalata al cuore, Damien Karras si rese conto che padre Merrin era morto.

«...le tue arie di santità! E vorresti morire? Morire?!... Karras, sbrigati, salvalo!» urlò rabbiosamente il demone.

«Fallo tornare in sé... Dobbiamo finire, concludere!...»

Collasso cardiaco. Le arterie coronarie. «Oh, mio Dio!» gemette Karras in un bisbiglio. «No, mio Dio, no!» Ancora incredulo, disperato, chiuse gli occhi e scosse la testa. Sommerso da una brusca ondata di angoscia, affondò con violenza il pollice nel polso esangue del vecchio sacerdote, quasi volosse spremerne a forza un residuo vigore, ritrovare il perduto pulsare della vita.

«... baciapile...»

Il gesuita raddrizzò lo schiena e aspirò profondamente. Fu allora che vide le pillolette sparse sul pavimento. Ne raccolse una: gli bastò un'occhiata per comprenderne la natura. Trinitrina. Con lancinante chiarezza capì che la morte non aveva colto di sorpresa l'esorcista. Merrin sapeva, l'aveva attesa, la morte! Con gli occhi arrossati, colmi di lacrime, Karras guardò il volto del vecchio sacerdote. «... Vada, vada a riposarsi un po', Damien.»

«Neanche i vermi vorranno cibarsi del tuo putridume, carogna...»

Karras, udite le parole del demone, cominciò a tremare sconvolto da un'ira feroce.

Non ascoltare!

«... omosessuale...»

Non ascoltare! Non ascoltare!

Sulla tempia di Karras, una vena s'inturgidì, pulsò violentemente, bluastra. Mentre con gesto tenero e delicato sollevava le mani del morto per incrociargliele sul petto, udì il demone gracchiare: «Sì, e adesso mettigli tra le mani il suo uccello!»Un bolo di putrida saliva centrò un occhio del cadavere. «Gli ultimi sacramenti!» infierì sarcasticamente il demone. Rovesciando indietro la testa, sghignazzò selvaggiamente.

Inebetito dal dolore, Damien Karras fissava lo sputo con occhi che gli uscivano dalle orbite. Immobile come una statua. Il rugghio tumultuoso del sangue gli rintronava nelle orecchie, impedendogli di sentire altro. Alla fine, lentamente, a scatti brevi, errabondi, obliqui, sollevò lo sguardo, con la faccia imporporata da un'ira belluina, stravolta da irrefrenabili spasmi di odio forsennato.

«Schifosa carogna!» esplose, in un bisbiglio che sibilò nell'aria come lama di acciaio temperata. «Canaglia!» E sebbene non muovesse un muscolo, sembrava snodare le spire come un serpente, i tendini del collo sporgenti e tesi come gomene. Il demone smise bruscamente di ridere e guardò il gesuita con proterva malvagità. «Tanto, saresti stato sconfitto, Karras! Tu sei nato perdente. Sei sempre stato un perdente! E gli scagliò addosso un getto di vomito. Damien ignorò il gesto. «Sì» disse, scosso da un tremito febbrile. «E tu? Come sei potente, tu, quando hai a che fare con fragili creature come questa! Te la prendi con una bambina, tu! Ma fai un po' vedere come te la cavi con un avversario più forte! Forza, vieni!» Allungò le mani verso il demone, mani simili a grossi uncini di carne ed ossa, con le dita che si piegavano e aprivano in un lento cenno di richiamo. «Vieni, esci fuori, perdente! Misurati con me! Lascia la bambina e prendi me! Prendi me! Entra in...»

Forse non era trascorso che un minuto, quando Chris e Sharon udirono il trambusto al piano di sopra. Erano nello studio: Chris — che finalmente aveva smesso di piangere — seduta su uno sgabello davanti al banconcino del bar, Sharon dall'altra parte, intenta a dosare un drink, vodka e acqua tonica. Stava posando i bicchieri sul ripiano, quando il baccano le costrinse, tutte e due, ad alzare gli occhi al soffitto.

Tramestio di passi, colpi violenti contro i mobili, contro le pareti. Poi la voce... Di chi? Il demone...? Il demone! Imprecazioni oscene. E anche un'altra voce. Botta e risposta. Karras...? Sì, Karras. Era la sua voce, ma un po' diversa... Molto più sonora, molto più profonda... Tuonò:

«No! Non ti permetterò di far loro del male! Non riuscirai a far loro del male! Tu verrai con...»

Chris rovesciò il suo bicchiere, tanto fu violenta la contrazione che le scosse il corpo tutto all'udire il rumore di legno schiantato, di vetri infranti. Senza perdere un secondo, entrambe, lei e Sharon, si precipitarono fuori dallo studio, su per la scala, di corsa nella camera di Regan. Spalancata la porta, videro che gli scuri erano stati divelti dai cardini: giacevano per terra. E i vetri?... I vetri completamente in frantumi!

Allibite, corsero verso la finestra. Chris, però, fatti due passi, si fermò di schianto: aveva visto il vecchio sacerdote lungo disteso per terra, accanto al letto. Per un attimo, lo shock la inchiodò sul posto, poi — in un lampo — gli fu vicino. Si gettò in ginocchio, trattenendo il fiato. «Oh, mio Dio!» gemette. «Sharon! Vieni qui, Shar! Presto, vieni...»

Affacciata alla finestra, Sharon urlò. Alzando gli occhi, Chris — esangue, bocca spalancata — la vide staccarsi dal davanzale, correre alla cieca verso la porta.

«Shar, che è?»

«Padre Karras!... Padre Karras!...»

Fuori di sé, Sharon uscì a precipizio dalla stanza.

Tremante come una foglia, Chris si alzò in piedi e a sua volta corse ad affacciarsi alla finestra, guardò in basso, si sentì cadere il cuore: ai piedi della ripida scala di pietra, giù, nella affollata M Street, giaceva scompostamente accasciato il corpo di Damien Karras. Intorno, i passanti già facevano calca.

Paralizzata dall'orrore, Chris non riusciva a distogliere lo sguardo, a fare il minimo gesto.

«Mamma...»

Una vocetta fioca, lamentevole, alle sue spalle. Una vocetta che la chiamava. Chris inghiottì la saliva. Non osava credere... «Mamma, ma cosa è successo? Per piacere... Vieni qui, ti prego, mamma... Mammina, ti prego! Ho paura... Ho pau...»

Chris si voltò di scatto, vide le lacrime, il visetto sconvolto, implorante. D'un balzo corse al letto, singhiozzando. «Rags! Bambina mia, creatura mia!... Oh, Rags, Rags!...»

Sharon, intanto, uscita precipitosamente in strada, arrancava verso la residenza dei gesuiti. In portineria, chiese di Dyer, con pressante insistenza. Padre Dyer accorse immediatamente. Si fece pallido, sapendo da Sharon.

«Ha chiamato un'ambulanza?»

«Oh, mio Dio, non ci ho pensato!»

Rapidamente, il gesuita diede istruzioni al centralinista, poi uscì correndo. Attraversò la strada, seguito da Sharon. Scese la scala.

«Lasciatemi passare, per piacere! Con permesso... Lasciatemi passare!...» Si fece largo a gomitate mentre gli giungeva all'orecchio la solita litania dell'indifferenza: «Cos'è successo?» «Un tizio è caduto giù per la scala.» «Hai visto...?» «Doveva essere sbronzo. È tutto sporco di vomito.» «Andiamo, su, altrimenti faremo tardi...»

Finalmente padre Dyer superò la barriera dei curiosi. Per un istante, il suo cuore cessò di battere: si sentì prigioniero di una realtà che aveva dimensioni fuori dal tempo, impietrito in uno spazio dove l'aria era troppo carica di dolore per essere respirabile.

Damien Karras giaceva supino, il corpo grottescamente raggranchito e contorto, la testa in una pozza di sangue che sempre più dilagava. Gli occhi spalancati fissavano il vuoto, la bocca era aperta, la mascella pendula. Gli occhi si mossero, si spostarono, posandosi vacui su Dyer. D'un tratto presero vita: sembravano brillare di gioia. Poi implorarono: sollecitavano con insistenza pressante.

«Via, via, circolare! Su, indietro, circolare!» Un poliziotto.

Padre Dyer si inginocchiò. Con un gesto delicato e tenero come una carezza, posò la mano su quel volto sfregiato, pieno di ecchimosi. Quante ferite! Un nastro di sangue colava dalla bocca. «Damien...» Dyer s'interruppe per vincere il tremito che gli vibrava in gola. Negli occhi dell'amico vide l'incerto, ansioso brillìo, l'ardente implorazione. Si chinò più vicino. «Ce la fai a parlare?»

Lentamente, a fatica, il morente allungò la mano verso il polso di Dyer, lo afferrò, lo strinse leggermente, mentre i suoi occhi fissavano quelli dell'amico.

Ingoiando le lacrime, Dyer si curvò ancor più e parlò all'orecchio di Karras. «Vuoi confessarti, Damien?»

Una piccola stretta al polso.

«Ti penti di tutti i tuoi peccati e di aver offeso Dio onnipotente?»

Una stretta.

Padre Dyer raddrizzò la schiena. Con un gesto lento e solenne tracciò nell'aria il segno di croce al di sopra di quel corpo martoriato. Profferì le parole dell'assoluzione: «Ego te absolvo...»

Un lacrimone enorme rotolò dall'angolo dell'occhio di Karras. Mentre pronunciava il resto della formula dell'assoluzione, Dyer si sentì stringere ripetutamente, e con più forza, il polso. «... in nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.»

Si curvò di nuovo per avvicinare la bocca all'orecchio del morente. Aspettò che si sciogliesse il groppo che aveva alla gola. Mormorò: «Sei...». Tacque: le dita che gli stringevano il polso si erano bruscamente allentate. Rialzò la testa e vide che quegli occhi spalancati erano colmi di pace. E anche di qualcos'altro. Qualcosa di arcano che faceva pensare alla gioia che inonda il cuore quando, alla fine di un tribolato cammino, si raggiunge una meta lungamente agognata. Nella loro fissità, quegli occhi miravano qualcosa che non è di questo mondo. Non di qui, della terra.

Su quegli occhi, delicatamente, padre Dyer abbassò le palpebre. Udì il lontano ululato della sirena. «Addio...» cominciò a dire, ma non poté continuare. Chinò la testa sul petto e pianse.

Arrivò l'ambulanza. Misero il corpo di Damien Karras su una barella, lo trasferirono all'interno del furgone. Dyer si arrampicò, sedette accanto al medico internista dell'ospedale. Allungò il braccio e poggiò la sua mano su quella di Karras.

«Padre, ormai lei non può far più nulla, per lui» disse il dottorino con tono sommesso. «Non si renda la cosa ancor più dolorosa: non venga.»

Senza distogliere lo sguardo da quel volto maciullato, martoriato, Dyer scosse la testa.

Il dottore guardò l'autista che aspettava pazientemente accanto agli sportelli posteriori dell'ambulanza, gli fece un cenno con la testa. Con un tonfo soffocato, gli sportelli si chiusero.

Dal marciapiede, Sharon — sconvolta, intontita — seguì con occhi ottenebrati l'ambulanza che si allontanava lentamente. Confusi, le giungevano alle orecchie i mormorii dei passanti.

«Cos'è successo?»

«E chi lo sa? Chi se ne importa?»

L'urlo della sirena si alzò lacerante nell'aria serotina al di sopra del fiume, finché l'autista non ricordò che ormai il tempo non aveva più nessuna importanza. Tolse il contatto. Le acque del fiume tornarono a scorrere tranquille verso un lido più sereno.

 

EPILOGO

 

Sul finire di giugno, dalla finestra della camera da letto di Chris entrava a fiotti la luce di un giorno pieno di sole.

L'attrice finì di piegare una camicetta in cima agli altri indumenti di cui la valigia era già colma e abbassò il coperchio. «Ecco fatto» disse, avviandosi verso la porta, mentre Karl si avvicinava per chiudere i bagagli. A passi svelti, uscì in corridoio, dirigendosi verso la camera di Regan. «Allora, Rags, sei pronta?»

Erano passate sei settimane, dal giorno della morte dei due sacerdoti. Dal giorno del cataclisma. Da quando erano cominciate le meticolose indagini di Kinderman. L'enigma era ancora senza soluzione. Congetture angosciose, sì, tante, e frequenti risvegli in lacrime nel cuore della notte. La morte di padre Merrin era stata causata da una malattia delle coronarie, ma in quanto a quella di Karras... «Sconcertante» l'aveva definita Kinderman, con la sua solita voce asmatica. Non poteva essere stata la bambina. Impossibile. La bambina era saldamente ancorata al letto dalle cinghie costrittive, dallo speciale lenzuolo che le toglieva ogni libertà di movimento. Ovviamente, doveva essere stato lo stesso Karras a strappare dai cardini gli scuri, per buttarsi dalla finestra e porre deliberatamente fine alla propria vita. Ma perché?... Paura?... Un tentativo di fuga di fronte a qualche cosa di orrendamente spaventoso?... No! Questo, Kinderman l'aveva escluso immediatamente. Se si fosse trattato di una fuga, Karras sarebbe corso verso la porta. E poi il gesuita non era uomo da sottrarsi a un pericolo con la fuga.

Ma allora perché quel salto fatale?

Nel cervello di Kinderman, una risposta cominciò a delinearsi ascoltando padre Dyer parlare dei conflitti emozionali di Karras: un senso di colpa nei riguardi della madre, specie per la morte solitaria della poveretta, ed un problema a proposito della fede. A tutto ciò, Kinderman aggiunse altri motivi di squilibrio nervoso: la privazione di sonno per molti giorni e molte notti di seguito; la preoccupazione per la probabile, imminente, morte di Regan e il cruccio di non poter far nulla per lei; gli attacchi del demone, che assumeva la personalità della madre; e infine lo shock provocato dalla morte di Merrin. Tirando le somme, il poliziotto aveva malinconicamente concluso che la mente di Karras, sconvolta dal peso di colpe e rimorsi diventati intollerabili, non aveva retto: aveva preso una sbandata. Inoltre, dai testi che aveva letti nel corso delle indagini relative alla morte di Dennings, Kinderman aveva appreso che, in passato, frequenti erano stati i casi in cui gli esorcisti erano stati alla loro volta vittime dell'ossessione. E questo appunto per motivi analoghi a quelli presentatisi durante la malattia di Regan: gli ossessivi complessi di colpa e il conseguente bisogno di essere puniti. Al che andava aggiunto un fenomeno di autosuggestione. Secondo Kinderman, nel momento della tragedia padre Karras era maturo per una drastica conclusione della vicenda. Il trambusto, i rumori di lotta, la voce alterata che Chris e Sharon avevano entrambe udito distintamente, sembravano avvalorare l'ipotesi del poliziotto.

Questa ipotesi, però, padre Dyer si era rifiutato di accettarla. Durante la convalescenza di Regan si era recato spessissimo a casa di Chris. Ripetutamente, con insistenza, aveva tentato di accertare se Regan ricordava o meno quanto quella sera era successo nella sua camera, ma le risposte di Chris erano sempre state o un cenno negativo del capo, o un "no" reciso. E finalmente il caso era stato considerato chiuso.

Chris sporse la testa all'interno della camera di Regan: sua figlia, tenendo stretti tra le braccia due degli animali di peluche del suo piccolo zoo, guardava con infantile disappunto la valigia aperta sul letto, ormai colma. «Come andiamo? Hai finito di metter via la tua roba?» domandò Chris.

Regan alzò lo sguardo. Un poco smunta. Un poco sparuta. Le occhiaie un poco scure. «Questa cosa qui è troppo piccola, non c'entra tutto!» rispose, imbronciata.

«Ma, tesoro, non possiamo portar via tutto con noi. Quello che non ci sta lascialo fuori, ci penserà Willie. Andiamo, amore, cerca di sbrigarti, altrimenti perderemo l'aereo.»

Era stato stabilito che loro due, Chris e Regan, sarebbero partite per Los Angeles con un volo del pomeriggio; Sharon e i due Engstrom, invece, messa in ordine e chiusa la casa, sarebbero partiti l'indomani in macchina, Karl alla guida della Jaguar, per attraversare tutto il paese fino al Pacifico.

«E va bene» acconsentì Regan, sia pure a malincuore.

«Brava, la mia bambina!»

Chris la lasciò, scese in fretta a pianterreno. Era arrivata ai piedi della scala quando il carillon tintinnò. Aprì lei stessa.

«Salve, Chris!» Era padre Dyer. «Ho fatto una capatina per portarle il mio arrivederci presto.»

«Come sono contenta! Stavo giusto per telefonarle.» Fece un passo indietro. «Su, entri.»

«No, grazie, Chris. Immagino quante cose avrà da fare.»

Lo prese per una mano e lo condusse in casa. «Per piacere! Stavo per andare a prendere una tazza di caffè... Mi faccia compagnia.»

«Se è sicura che non disturbo...»

Era sicura. Andarono in cucina, sedettero al tavolo, presero il caffè, parlarono del più e del meno, mentre Sharon e i due Engstrom entravano e uscivano con aria indaffarata. Chris parlò di padre Merrin. Di quanto fosse rimasta meravigliata di vedere al funerale del vecchio sacerdote tanti personaggi eminenti, tanti alti prelati. Poi rimasero in silenzio per un bel po', mentre Dyer fissava il contenuto della sua tazza, piccolo pozzo di melanconia. «Regan ancora non ricorda niente» disse Chris sommessamente, leggendo nel pensiero del gesuita. «Mi spiace...»

Padre Dyer annuì, senza alzare la testa.

Il tavolo era ancora preparato per la prima colazione: troppo nervosa e agitata, Chris non aveva mangiato. La rosa era là, sul piatto. La prese e, soprappensiero, ne rigirò delicatamente lo stelo tra le dita. «Pensare che lui non l'ha neanche potuta conoscere...» mormorò con aria assente. Smise di far roteare la rosa e guardò il gesuita.

«Secondo lei» domandò sottovoce Dyer, fissandola negli occhi «che cosa crede che sia veramente successo? Lei, che non è credente, ritiene che Regan sia stata davvero ossessa?»

Giocherellando distrattamente con la rosa, Chris abbassò gli occhi e meditò sulla domanda. «Ecco, come lei ha detto... per quanto riguarda Dio, io non sono credente. Ancora oggi. Se spostiamo però il discorso sul diavolo... allora è un altro paio di maniche. Sarei anche disposta a crederci. Dirò di più: in effetti, ci credo. E non soltanto per quanto è successo a Rags. In linea generale.» Si strinse nelle spalle. «Uno si rivolge a Dio, ma deve mettersi in testa che, se questo Dio esiste, prima di manifestarsi, ci dorme sopra un milione di anni. E non bisogna essere portati a diventare impazienti... Capisce cosa voglio dire? Dio non parla mai. Il diavolo, invece, non fa che battere la grancassa. Il diavolo fa un sacco di pubblicità, padre.»

Dopo essere rimasto a guardarla per un po', Dyer le rispose quietamente: «Ma se tutto il male che esiste al mondo le fa pensare che un diavolo deve pur esserci, allora, tutto il bene che c'è nel mondo lei come se lo spiega?».

Sostenendo fermamente lo sguardo del gesuita fino ad avere gli occhi leggermente strabici, Chris rifletté. Poi, abbassando le palpebre, mormorò sottovoce: «Già... Già... Questo è un punto a favore...» La tristezza, i residui del trauma per la morte di Karras calarono come una nebbia malinconica sul suo stato d'animo. Ciononostante, attraverso la nebbia, le sembrò di intravvedere una piccola luce ammiccare in lontananza. Cercò di metterla a fuoco e ricordò un episodio accaduto al cimitero, dopo il funerale di Karras. Mentre padre Dyer la riaccompagnava alla macchina, lei gli aveva chiesto:

«Padre, potrebbe venire da me, trattenersi un poco?»

«Lo farei con molto piacere, ma non posso mancare alla festa» era stata la risposta. E, leggendole sul volto lo stupore, le aveva spiegato: «Sempre, quando muore un gesuita, noi facciamo una festa. Per lui è un "principio" e perciò noi solennizziamo l'avvenimento.»

Anche un altro pensiero venne in mente a Chris. «Un giorno lei ebbe a dirmi che padre Karras aveva un problema, a proposito della fede...»

Dyer annuì.

«Non riesco a capacitarmene...» mormorò Chris. «Mai avevo conosciuto qualcuno con una fede tanto profonda.»

«Madame, è arrivato il tassi.»

«Va bene, Karl. Grazie.»

Scrollandosi di dosso le fantasticherie, Chris si alzò in piedi, imitata da padre Dyer. «No, padre, resti. Vado un momento di sopra a prendere Rags, ma torno subito».

Il gesuita fece un cenno con la testa e la seguì con gli occhi, pensando ad altro. Pensava alle ultime parole di Karras, parole dal significato misterioso, urlate a voce tanto alta da essere chiaramente udite al piano di sotto. Qualcosa era nascosto in quelle parole. Ma che cosa? Dyer non riusciva a spiegarsele. Né Chris, né Sharon gli erano state di aiuto: ricordavano molto confusamente. Ancora una volta gli venne in mente l'arcano luccichio di gioia negli occhi di Karras, durante gli ultimi istanti di vita... D'un tratto si sovvenne di aver visto anche qualcos'altro, nel fondo di quegli occhi: un lampo vivido, sfolgorante di... Di trionfo?... Forse. Non ne era certo. Tuttavia, stranamente, si sentì il cuore più leggero. Perché più leggero? si chiese, stupito.

Passò nell'ingresso. Mani in tasca, appoggiato allo stipite della porta, osservò Karl che aiutava l'autista a sistemare le valige nel portabagagli. Faceva caldo, un caldo umido. Mentre si asciugava la fronte, udì dei passi. Si voltò a guardare: Chris e Regan scendevano la scala, mano nella mano.

Quando gli fu vicino, Chris gli diede un bacio sulla guancia, e sulla stessa guancia posò una mano delicata, fissandolo negli occhi con scrutatrice affettuosità.

«Bene» disse Dyer. Poi, stringendosi nelle spalle, soggiunse: «Ho questa sensazione, sì. Tutto bene, tutto a posto».

Chris annuì. «Le telefonerò da Los Angeles. E stia bene, mi raccomando.»

Il gesuita abbassò lo sguardo su Regan. La bambina lo fissava con le sopracciglia aggrottate, come cercando di ricordare, come ricordando d'un tratto un rapporto precedente sepolto nella memoria. Con un gesto impulsivo, Regan tese le braccia verso di lui. Egli si chinò. La bambina lo baciò e poi ristette ancora a guardarlo, con una curiosa espressione. Ma non lo guardava in faccia: fissava il suo collarino rigido da prete cattolico.

Chris distolse in fretta lo sguardo. «Su, vieni, tesoro» disse, con voce roca, prendendo Regan per mano. «Faremo tardi, andiamo.»

Mamma e figlia si portarono vicino al tassi. Padre Dyer ricambiò il cenno di saluto di Chris. La vide mandargli un ultimo bacio soffiando sulla mano e infilarsi poi alla svelta nella vettura, stringendo a sé la bambina.

Mentre Karl andava a sedersi davanti, accanto all'autista, l'attrice agitò ancora una volta la mano, dietro il vetro del finestrino. Il tassi partì. Accelerò. Padre Dyer si spostò fin sull'orlo del marciapiede e lo seguì con lo sguardo finché non lo vide svoltare l'angolo.

Stridio di freni, dalla parte opposta della strada. Il gesuita si voltò a guardare: una macchina della polizia. Scese Kinderman. Col suo passo dondolante, il poliziotto girò lentamente intorno alla vettura e si diresse verso il sacerdote, agitando una mano. «Sono venuto per gli addii...»

«È in ritardo di un minuto...»

Kinderman si fermò di botto, mortificato. «Come?!... Sono già andate via?»

Padre Dyer annuì.

Guardando in fondo alla strada, il poliziotto tentennò la testa con aria afflitta. Poi, girandosi verso il sacerdote, domandò: «Come sta la bambina?».

«Bene. A me è sembrato che stesse proprio bene.»

«Mi fa piacere. Ottima cosa. La cosa più importante. E allora torniamo al lavoro» ansimò, distogliendo lo sguardo. «A tirare la carretta... Arrivederci, padre.» Si avviò verso la vettura, ma fatti due passi si voltò di nuovo a guardare Dyer, come soppesandolo. «Lei ci va al cinema, padre Dyer? Le piacciono i film?»

«Ma certo!»

«Sa... a me danno spesso dei biglietti omaggio.» Esitò un istante. «Anzi, ne ho proprio un paio per domani sera. Per il cinema Crest. Che dice, vuol venirci con me?»

Mani in tasca, Dyer domandò: «Cosa danno?».

«Cime tempestose.»

«Con chi?»

«Heathcliff, Jackie Gleason e Lucilie Ball nel ruolo di Catherine Earnshaw. Soddisfatto?»

«L'ho già visto» rispose Dyer, con volto impassibile.

Per un momento, il poliziotto lo fissò senza reagire, poi distolse gli occhi. «Un altro bel tipo...» mormorò. Dopo di che salì deciso sul marciapiede, prese il gesuita sottobraccio, se lo trascinò appresso, avviandosi lentamente verso la vettura. «Mi è giusto venuta in mente una battuta di un film. Casablanca, era intitolato» disse con subita simpatia. «Alla fine del film Humphrey Bogart dice a Claude Rains: "Louie... io credo che questo sia l'inizio di una splendida amicizia..."»

«Sa una cosa, tenente? Lei somiglia un poco a Bogart.»

«Vero?... L'ha notato anche lei?»

Nell'oblìo, entrambi cercavano un ricordo.

 

NOTA DELL'AUTORE

 

Nel descrivere la topografia dell'università di Georgetown, mi sono permesso di introdurre alcune piccole varianti, riguardanti specialmente l'attuale ubicazione dell'Istituto di lingue e glottologia. Inoltre, la casa in Prospect Street non esiste nella realtà, e non esiste la portineria della residenza dei gesuiti così come da me è stata descritta.

Il brano di prosa attribuito alla penna di Lankester Merrin non è di mia creazione. Esso è stato tratto da un sermone di John Henry Newman, intitolato La seconda primavera.

 

RINGRAZIAMENTI

 

Desidero esprimere il mio particolare ringraziamento al signor Herbert Tanney, dottore in medicina; al signor Joseph E. Jeffs, bibliotecario dell'università di Georgetown; al signor William Bloom; alla signora Ann Harris, redattrice della Harper & Row, per avermi assistito con impareggiabile generosità nella preparazione di questo libro.

Sento il dovere, inoltre, di esprimere la mia gratitudine al Rev. Thomas V. Bermingham, S.J., Padre Provinciale della Compagnia di Gesù nella Provincia di New York, per avermi suggerito il tema di questo romanzo; e al signor Marc Jaffe della Bantam Books per la singolare (e singola) fiducia nell'eventuale valore dell'opera.

Ringrazio, infine, il dottor Bernard M. Wagner dell'università di Georgetown, per avermi insegnato a scrivere, e ringrazio i gesuiti per avermi insegnato a pensare.

 

FINE